Governo, navigazione non facile

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L’esecutivo e la maggioranza nell’ultima settimana si sono dati molto da fare soprattutto per l’invio nei termini a Bruxelles del Next generation EU italiano. Questo anche per cercare di smaltire le conseguenze politiche dell’astensione dei ministri leghisti sulle misure restrittive imposte dai numeri della pandemia. In particolare la divergenza sull’ora del coprifuoco, invece che essere ricondotta alle sue reali dimensioni di questione da risolvere con accortezza e buonsenso, è diventata una sorta di psico-dramma nazionale. E questo a causa soprattutto ai giochini di Salvini. Il suo chiamarsi fuori ha indebolito l’unità tra le forze della maggioranza. Provocato nuove divisioni in una popolazione già provata. Fatto emergere ancora una volta contrapposizioni  tra presunti rigoristi e altrettanto presunti aperturisti, irrigidendone le posizioni. Minato la compattezza del governo. E arrecato un danno notevole alla sua immagine e alla coesione sociale. Insomma, ha determinato conseguenze negative di vario genere di cui, in un periodo come questo,  non si sentiva davvero il bisogno! Soprattutto, nulla garantisce che “incidenti” come quello di cui si parla non possano essere voluti, cercati e causati anche in futuro. Certo, l’esecutivo ha dalla sua l’amplissima maggioranza. Essa “per definizione”, come usa dirsi in questi casi, ne impedisce la caduta. E ne dovrebbe facilitare la navigazione. Un altro fattore di (relativa) tranquillità è la garanzia personale, costituita nei confronti dell’Ue dall’autorevolezza del premier Draghi, circa il puntuale adempimento da parte del nostro Paese dell’impegno ad attuare le riforme richieste in cambio dei massicci aiuti concessi da Bruxelles. Un fattore resta, tuttavia, inesplorato: la capacità di tenuta,  in prospettiva, della attuale, eterogenea maggioranza. Da un lato, l’avvicinarsi del momento della “ciccia” politica. Cioè la concreta articolazione della cabina di regia per la concreta indivduazione delle iniziative ammissibili a finanziamento. Su di essa si appunterà il famelico appetito delle forze politiche per essere pienamente coinvolte. Dall’altro, il varo dei progetti da finanziare, che metterà in moto imprenditori, società vere e improvvisate, faccendieri e “facilitatori”. Tutti pronti a sollecitare  i rispettivi patron politici perchè intervengano a loro favore. Proprio in questa prospettiva, la provocazione leghista suscita pesanti interrogativi. E assume connotati di notevole gravità. Per ora, secondo i rumors parlamentari, sarebbe stata stigmatizzata da un discreto ma deciso richiamo di Draghi a Salvini, affidato al prudente Giorgetti. Ma non vi è dubbio che l’astensione leghista ripropone la domanda: se già ora, prima che si affrontino i problemi veri della rinascita italiana, Salvini mostra tutta la sua disinvoltura (oltre che, in fondo, la sua debolezza nel non saper condividere scelte anche impopolari, come ogni vero leader deve saper fare), cosa succederà quando si tratterà di sciogliere nodi davvero impegnativi? Questa analisi sembra corroborata dall’andamento dei sondaggi. Essi danno la Lega in costante arretramento negli ultimi mesi. E’ come se gli elettori di destra percepiscano la scarsa affidabilità del Capitone (nonostante, per le molte paure, la destra appaia in una condizione di forza nel Paese) e per questo vedano con maggior favore la Meloni! Non a caso, FdI sta risucchiando porzioni di elettorato prima disperse, così modificando in profondità sia i rapporti all’interno del centro-destra che tra gli schieramenti. La confusione, poi, che regna nel M5S si rispecchia nell’estrema cautela con cui Conte sta tessendo la sua tela per un Movimento 2.0 ancora da definire nelle sue linee essenziali ma certamente destinato, ad essere meno populista del passato. Questo stato di cose rischia di rallentare, insieme ai nodi interni da sciogliere, anche le iniziative avviate da Letta per la costituzione di un fronte anti-populista. E lo scadenzario politico non favorisce certo la pace universale. L’approssimarsi delle amministrative in molte città riaccenderà le ragioni di partito. E favorirà l’insorgere di pericolosi focolai, che Draghi sarà chiamato a spegnere.

di Erio Matteo