Governo, Welfare e  Mezzogiorno

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Le offerte elettorali di maggiore appeal che hanno non poco aiutato il centrodestra ad affermarsi come prima coalizione e il M5s come partito di maggioranza relativa sbiadiscono ad appena 24 giorni dal voto. L’introduzione dell’aliquota fiscale unica, al 17 o al 23% fa lo stesso, da flat tax diventa generico taglio delle tasse alle imprese; la legge Fornero non verrà cancellata dalle fondamenta ma corretta sulla determinazione dei calcoli per uscire; il reddito di cittadinanza presentato come universalistico diventa vago sostegno per giovani disoccupati. Ha qualche ragione chi argomenta sulla natura spiccatamente mercantile che ha caratterizzato il voto del 4 marzo scorso? Se le cose che dicono oggi fossero state dette prima del voto, i risultati sarebbero stati gli stessi? Non c’è controprova e il tema è residuo rispetto alle incertezze che riguardano il governo del Paese, al quale adesso bisognerà raccontare un’altra storia. Resta la realtà, che è testarda e non la si abolisce con gli slogan.

Risparmiando numeri e statistiche, peraltro in peggioramento, quella che riguarda il Mezzogiorno e la Campania, ci dice di un Paese che rischia seriamente il definitivo scollamento: senza robusti interventi di politiche industriali e, in prima battuta, senza sostegni sociali necessari a garantire il raffreddamento di un contesto ribollente, il punto di caduta è quello di esplosioni sociali durissime e ingovernabili.

Bisognerà dunque chiedersi realisticamente se possiamo permetterci possibili politiche espansive del welfare. La spesa totale per pensioni, sanità, politiche attive e passive del lavoro, assistenza sociale è di quasi 500 miliardi l’anno, il 54% dell’intera spesa pubblica, più di quanto faccia la Svezia e un po’ meno di Danimarca, Francia e Finlandia. Mentre le pensioni erogate (169 miliardi) si pagano con i contributi versati (172 miliardi), l’assistenza che è a carico della fiscalità generale arranca a causa dell’insufficiente gettito dell’Irpef, principale voce del finanziamento, e il Sud con i contributi versati riesce a pagare soltanto la metà delle prestazioni che riceve, con situazioni estreme come la Calabria che per ogni 100 euro ricevuti in prestazioni ne paga 36: “Quanto potrà reggere questa situazione – si è chiesto Alberto Brambilla presentando al governo e alle commissioni parlamentari il Quarto Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale- con alta spesa corrente e pochi investimenti?”. I margini di intervento sono stretti e i tempi incalzano. Il nuovo governo, se ce ne sarà uno, dovrà decidere essenzialmente su due cose: varare misure in deficit che oltre a finire sulle spalle delle giovani generazioni farebbero schizzare il debito pubblico a quote ingovernabili; mettere ordine nella giungla dei sussidi nazionali e integrati dalle politiche regionali finalizzandoli ad una politica, quella sì, di investimenti pubblici strategici da sottrarre alla tagliola del fiscal compact. Tertium non datur, a meno di improbabili new deal che continuerebbero la campagna elettorale con altra fuffa.

Ps: Nel suo spettacolo teatrale, Beppe Grillo dedica un puntuale cammeo al reddito di cittadinanza e cita Zurigo che starebbe per dare 2.200 euro al mese a tutti i cittadini adulti senza lavoro e 500 euro ai minorenni. Quelli che applaudono non sanno che la delibera è passata con due soli voti di scarto; che quel “reddito incondizionato” è stato già bocciato in un referendum del 2016 dal 77% dei cittadini; che il consesso della capitale economica svizzera, dove su meno di 400 mila abitanti poche migliaia sarebbero i beneficiari, si è preso due anni di tempo. Ma perché Zurigo e non Roma o Torino?

di Norberto Vitale edito dal Quotidiano del Sud