I due Pd

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Mentre scorrono le ultime ore utili per risolvere la più incredibile crisi di governo della nostra storia repubblicana, emergono alcuni tra i fattori che ne hanno condizionato l’andamento: la condizione del Pd e le incertezze del suo leader. il partito, assai poco unitario nonostante le declamazioni, è apparso spesso diviso tra linee diverse. E questo soprattutto per le gravi incognite che continuano a pesare come un macigno circa le future mosse del senatore semplice di Rignano, tornato alla ribalta politica. E per l’incorreggibile tendenza ad una eccessiva litigiositè interna. Avvertita anche nei giorni della crisi. E che rimanda alla piena affidabilità politica del Pd come possibile forza di governo.

Del resto, nel corso del tortuoso svilupparsi della crisi, è emerso con tutta evidenza come nel Pd vi fossero opinioni differenti. E almeno due posizioni diverse. Inizialmente Zingaretti – preso dal timore di poter essere sospettato di debolezze filo-grilline – aveva schierato il partito su una posizione intransigente a favore delle urne. Con il disegno di eliminare (dalle liste) il suo concorrente interno. Cioè il gruppone renziano, maggioritario nei gruppi parlamentari. Renzi solo una decina di giorni prima aveva fatto balenare per l’ennesima volta lo spettro di una scissione, probabilmente per le medesime ragioni del segretario ma al contrario (tutelare i suoi, terrorizzati, ed evitare le urne per mantenere il controllo dei gruppi alle Camere). Poi, é diventato all’improvviso il paladino di una alleanza Pd- grillini anche di breve periodo. Forse con il pensiero neppure tanto recondito di approfittare successivamente di qualche strettoia per abbandonare il Pd. E fondare un suo partito.

Fatto sta che l’improvvisa iniziativa di Renzi ha rimescolato le carte. E consentito ai padri della patria ulivista e a molti dirigenti di primo piano di focalizzare una prospettiva politica di legislatura. Questo ha indotto anche il posapiano Zingaretti a uscire dallo stallo. E a tentare di realizzare un disegno più vasto – e più significativo sul piano politico generale – che non fosse la semplice decimazione dei renziani.

Con eccessiva enfasi, Zingaretti aveva sottolineato come la direzione gli avesse conferito all’unanimità – per la prima volta dopo anni – il mandato a trattare. Le sue incertezze durante il percorso, tuttavia, ne hanno minato le possibilità tattiche. Hanno mostrato un Pd succube della tecnica del carciofo grillina. Ed estremamente remissivo, nonostante fosse il M5S ad avere i più forti timori elettorali. Il tira e molla su Conte e sulla immagine di discontinuità dell’esecutivo hanno fatto apparire il leader Pd come non ben consapevole del punto finale della trattativa. A sua parziale discolpa le formidabili pressioni – interne ed esterne – cui è stato sottoposto. Il rischio, comunque, è che nell’intera operazione appaia a rimorchio, E quindi la sua leadership indebolita. A favore di Renzi, che dopo averlo zavorrato ora rivendica meriti inesistenti. Tutti ricordiamo la sua nefasta battuta sui popcorn che avrebbe sgranocchiato aspettando la fine dell’infausta stagione giallo-verde.  Del resto, in passato, troppe volte il Pd – per la litigiosità interna e l’eccessivo protagonismo di alcuni dirigenti – è venuto meno alla sua funzione politica.  Gli avvertimenti e le dichiarazioni, alcune perfino minacciose, dei vice-luogotenenti dei principali contendenti (indicative delle posizioni dei gruppi, ma che possono sempre essere smentite dai leader di corrente) hanno dato la misura del nervosismo circolante nelle arterie del Pd, pronto a provocare vere e proprie fibrillazioni!

In conclusione, il pd non ha avuto alcun merito, ma solo tantissima fortuna nell’apertura della crisi. Non la ha assolutamente provocata. Ci ha messo del tempo per cogliere al volo l’occasione di risorgere dalle ceneri di una opposizione silente. E spesso è apparso perfino impegnato a complicare la situazione. Insomma, non è sembrato finora del tutto consapevole della posta in gioco. Cioè la conservazione di alcuni dei valori fondanti della nostra convivenza sociale. In caso di un suo ingresso nella nuova maggioranza, saprà essere davvero all’altezza dei suoi doveri o sarà ancora più dilaniato e diviso?

di Erio Matteo