I “fachiri” di Sartre e gli elettori-giudici

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La purezza è un’idea da fachiri… Io, le mani, le ho sporche. Le ho affondate nella merda e nel sangue fino ai gomiti” (Jean Paul Sartre)

Anche i 90 anni di Ciriaco De Mita sono implacabilmente finiti sotto i ruvidi commenti della rete. Non c’è da meravigliarsi. Il compleanno di questa complessa e controversa personalità della politica italiana diversamente celebrato altrove non poteva non diventare il ghiotto argomento incidentale della campagna elettorale nella provincia di cui De Mita è storicamente considerato il deus ex machina. Comunque. Sia nella considerazione del leader politicamente lungimirante che prima di altri nel Mezzogiorno ha deviato il destino di un territorio, e di comunità, affondati nella povertà e spolpati dall’emigrazione; sia nella narrazione del satrapo che attraverso l’organizzazione clientelare del consenso ha prodotto resistibili modelli di modernità che “hanno ucciso i nostri progetti e le nostre speranze”, come in singolare identità di vedute con il M5S hanno scritto i comunisti di Potere al Popolo contro-festeggiando sui muri di Nusco.

La premessa è utile per tornare su un luccicante spettro che si aggira nella campagna elettorale: il candidato etico al servizio della buona politica. A differenza di quella che ha “ucciso” il futuro, si sostiene che la buona politica è tale soltanto se ad interpretarla è il candidato etico in quanto onesto. Terreno scivoloso oltre che ambiguo quello in cui l’idea spesso vaga di moralità, chè di questo si tratta, viene (pro)posta agli elettori come discrimine valutativo. Si potrebbe sostenere, come da Machiavelli in avanti suggeriscono i manuali, che l’unica forma di moralità che si richiede al politico è quella di essere capace di svolgere l’ufficio a cui è stato chiamato dagli elettori. Il primo indispensabile valore etico sarebbe dunque la competenza che prescinde affatto dall’onestà, ma la contiene tanto e quanto più la prima si riveli appropriata e funzionale. Al fondo di politiche e processi di governo rivelatisi oltre che sbagliati anche ipoteche ingombranti sul futuro non c’è la disonestà ma l’incompetenza e spesso la conforme intendenza napoleonica che non ha fatto seguito alla decisione politica. I grandi rilevanti fatti (e misfatti) della politica si spiegano prevalentemente dentro questa cornice e molto meno nelle aule giudiziarie che giudicano e condannano comportamenti penalmente rilevanti a carico di malversatori, corrotti o contigui ad organizzazioni criminali.

Grazie all’appeal mediatico che deriva dalla estrema notiziabilità della cronaca, quella che è marginalità finisce per occupare ampiamente il centro del campo. Diventa il tema, come si dice, che offre all’elettore l’allettante opportunità di farsi giudice piuttosto che cittadino. L’operazione che ormai si ripete con decibel in aumento ad ogni campagna elettorale ha origine nella crisi della rappresentanza seguita alla fine di un ciclo, quello rappresentato dalla Prima Repubblica, che i successivi tentativi di inaugurarne altri hanno persino peggiorato. Al candidato etico non occorre spiegare come far quadrare i conti delle riforme che propone, può essere liberale e liberista al contempo, essere un po’ a favore e un po’ contro l’Europa, pervicace accusatore della finanza internazionale ma anche suo interessato seguace. Dovremmo essere preoccupati? Macchè, ci basti la garanzia della sua eticità, moralità, onestà. “Fachiri”, appunto, che a differenza degli intellettuali e borghesi a cui si rivolgeva Sartre mostrano spiccata attitudine alle contorsioni che finiranno per soffocarci.

di Norberto Vitale edito dal Quotidiano del Sud