I giovani e il dramma povertà

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I dati forniti dal rapporto della Caritas 2016 sono davvero inquietanti. In Italia vivono in stato di povertà assoluta 1.582.000 famiglie (4,6 milioni di persone) ed oggi la povertà interessa più i giovani e i giovanissimi che gli anziani, e questo è il dato più preoccupante. Al Centro nord sono più gli stranieri che si rivolgono ai centri della Caritas, al sud, invece sono più numerosi gli italiani con una sostanziale parità uomo/donna. La povertà è, ormai, un male endemico della società globalizzata considerata irreversibile ed immodificabile. Si cerca solo di ridurne le sofferenze e l’impatto sociale con misure di carità in parte pubblica ed in parte privata con la Chiesa in prima linea. Poco si analizzano le cause e, soprattutto, non si fa nulla per rimuoverle o, almeno, per diminuirne l’impatto negativo. I fondi messi a disposizione dallo Stato, fino ad oggi, sono esigui e non strutturali; l’indennità SIA – sostegno all’inclusione attiva – con 500 milioni può assistere solo 200.000 persone. E’, però, in discussione al Senato una legge delega –già approvata alla Camera – che mira a introdurre misure strutturali in maniera più organica e permanente, perché prevede il REI (reddito di inclusione) per coloro che stanno sotto un reddito considerato minimo vitale. La legge di stabilità 2017 prevede un finanziamento di un miliardo, ancora poco, ma già meglio. Siamo solo agli inizi e, finora, ai buoni propositi non sono seguiti risultati apprezzabili e, comunque con il reddito di inclusione si aiutano i poveri ma non li si fanno scomparire senza creare vere occasioni di lavoro, lasciate, in massima parte, al mercato. La povertà è la parte più vistosa delle disuguaglianze che sono il risultato della mancanza di lavoro. Quando non c’è il lavoro, o è precario e sottopagato, non c’è dignità dice Papa Francesco. Due professori universitari, Franzini e Pianta, in un recente saggio: “Disuguaglianze, quante sono come combatterle” (edizione Laterza 2016) analizzano le cause e indicano alcuni rimedi. Oggi l’1% della popolazione mondiale possiede una ricchezza pari a quella del restante 99%. Le disuguaglianze sono l’espressione dei processi globali. Il potere del capitale sul lavoro ha trasformato i processi di produzione e i flussi di investimento, riducendo la produzione interna, distruggendo posti di lavoro, minando i poteri dei sindacati, abbassando i salari (negli ultimi trent’anni ben dieci punti percentuali di PIl sono passati dalla quota salari a quella dei capitali). Con l’aggravante che la ricchezza non è sempre il risultato dei processi produttivi in un regime di concorrenza ma, spesso, di rendite monopolistiche, bolle finanziarie ed economiche, del potere e dai privilegi. Il capitalismo, che è “oligarchico”, condiziona i governi e indebolisce il sistema democratico creando le disuguaglianze all’interno dello stesso mondo del lavoro. L’arretramento della politica, cominciato agli inizi degli anni ottanta (Tacther /Reagan) con le teorie neoliberistiche, hanno permesso e favorito che tutto ciò accadesse. Infatti, progressivamente è stato cancellato il Welfare, limitata la tutela del lavoro, diminuita la sanità ed i servizi sociali, messa in discussione la tassazione progressiva. Si sono incoraggiate le imprese private e privatizzate le pubbliche; si è deregolamentato il mercato, si sono creati privilegi e monopoli privati, oltre ogni limite che perfino i fautori del mercato come l’economista Stiglitz – che non ha cultura marxista, scrive che una disuguaglianza estrema porta ad una minore efficienza economica ed a una minore crescita. “La rinuncia della politica a contenere le disuguaglianze ha avuto conseguenze molto gravi: l’aumento della povertà, il degrado sociale, fino alla riduzione dell’aspettativa di vita per i più poveri in molti paesi.” L’aumento delle disuguaglianze è il risultato dell’accumulazione capitalistica che può essere corretta da una redistribuzione del reddito per migliorare le condizioni dei più svantaggiati limitando di poco quelle dei più abbienti. Anche l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sostiene che “la disuguaglianza è un male per la crescita a lungo termine” e che “le politiche strutturali sono necessarie ora più che mai…ma che devono essere accuratamente progettate e accompagnate da misure che promuovano una migliore distribuzione dei dividendi della crescita.”. Fermare l’arretramento della politica e combattere le disuguaglianze e le esclusioni non è il compito di una sinistra moderna e non pasticciona, dentro e fuori dal PD?
edito dal Quotidiano del Sud