I giovani e l’Irpinia

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L’Irpinia si sta spopolando. E sono soprattutto i giovani, diplomati e laureati con ottimi voti, con diplomi di dottorati, di ricerca di master, ad andarsene. Vanno via dalla propria terra, nell’Italia del Nord, all’estero: in Germania, Francia, Spagna, Olanda, Stati uniti. Le cause sono note da tempo ma i rimedi non sono stati nemmeno tentati. Semplicemente perchè la questione giovanile è assente dall’agenda politica nazionale e regionale. E molti sindaci, intenti a gestire l’ordinaria amministrazione dopo l’età dell’oro dei lavori pubblici e i grandi sprechi in rifacimenti di piazze, illuminazioni, panchine e centri storici, dimostrano spesso di non avere la volontà e, spesso, anche la competenza, di affrontare simili problematiche né si spremono le meningi per lo sviluppo del territorio e la valorizzazione di quelle risorse delle quali abbonda l’Irpinia. I paesi vanno scomparendo e la cementificazione, cresciuta alla grande dopo il terremoto, sta a dimostrare l’inutilità di tante opere pubbliche e costruzioni di interi abitati che, sempre più deserti e abbandonati cominciano a cadere a pezzi. Dall’Irpinia vanno via più di duemila persone all’anno; un intero paese che scompare dalla cartina geografica. Vanno via soprattutto giovani che non trovano lavoro ed, anche adattandosi a lavori precari e non consoni alla loro preparazione ed ai loro meriti, ricevono un salario di fame, che è un vero affronto ai principi della nostra Costituzione recita che l’Italia è una “repubblica democratica fondata sul lavoro”. E’ Il fallimento plateale di una politica autoreferenziale, incapace e pasticciona, con le bende agli occhi, che pensa più al proprio “particulare” che agli interessi generali. Paesi che non si accorpano come dovrebbero, progetto pilata (che pure è stata una buona idea) che stenta a decollare perché molti pensano più alle poltrone e agli affari degli amici che allo sviluppo del territorio, ciechi come sono nel difendere il proprio campanilismo e incapaci di fare squadra e di agire collettivamente per lo sviluppo del territorio e il ripopolamento dei comuni e la coltivazione delle campagne. Un ingente patrimonio abitativo che va in malora e terre abbandonate che aspettano di essere coltivate e mestieri che sono scomparsi che meriterebbero di essere riscoperti. Se la civiltà contadina è finita e la società sta diventando sempre più multietnica e la globalizzazione mostra i propri limiti, occorrerebbe più fantasia, e più coraggio ed anche un pizzico di utopia. Occorrerebbe favorire l’inserimento di nuova popolazione (facilitando l’acquisto di seconde case da parte di chi vive nelle città limitrofe), fornendo incentivi a coltivazioni più moderne e integrando gli immigrati stranieri che vogliono dedicarsi alla coltivazione dei campi e a fare quei mestieri ( manovali, giardinieri, calzolai, falegnami) che gli italiani non vogliono più fare, sfruttando i fondi europei che servono, invece, ad alimentare il mantenimento passivo di stranieri nulla facenti e i guadagni disonesti di tanti sfruttatori. I giovani si danno da fare ma chi li ascolta? E’ uscito, di recente, un bel libro, curato dal prof. Saggese: “Fiori nel deserto) nel quale cinquantuno di loro (tra i 18 ed i 30 anni) si confessano, raccontano le loro esperienze, rivendicano l’amore per la propria terra e le proprie origini, la voglia di non abbandonarle, la rabbia di doverlo fare per necessità e il desiderio del ritorno. Hanno fondato un’associazione: “GiovanIrpinia” che si propone lo scopo di porre al centro dell’agenda politica la questione giovanile consapevoli di essere una risorsa e non un peso. Senza i giovani non ci potrà essere futuro e, andando via i migliori, quel poco di futuro che resta sarà sempre peggiore. Non sono il fumo ed il bere che ti ammazzano –scrivono –ma il rimanere fermi ad aspettare. E ancora: Non vogliamo cambiare l’Irpinia, vogliamo che l’Irpinia cambi se stessa e la vera sfida è restare. I ragazzi irpini, altro che bamboccioni, hanno la voglia di affermarsi, le motivazioni indispensabili di chi viene da una famiglia nella quale i sacrifici sono pane quotidiano e la rabbia di dover affrontare un situazione difficile, dove la meritocrazia non conta nulla e la politica è disgustosa, non fa paura. Convinti di andare via pensano con nostalgia ad un “nostos” improbabile ed hanno quel poco di giusta utopia necessaria per cambiare il mondo. Purtroppo al sud la rivoluzione dal basso, di cui parlava Guido Dorso non c’è stata, ed i giovani, che costituivano la sua speranza sono lasciati sempre più soli ed inascoltati. Fanno bene a rimanere all’estero dice un improbabile ed insignificante ministro che, purtroppo, dovrebbe rappresentarli. Invece lo abbiamo al Governo insieme ad un’altra improbabile Ministro (per la ricerca e l’università!) che non ha neanche la laurea ma un modesto diploma conseguito alle scuole serali!
edito dal Quotidiano del Sud