I moderati e la sfida di Renzi

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Da Enrico stai sereno a Giuseppe stai sereno. Matteo Renzi ha ormai lanciato la sua sfida al Presidente del Consiglio Conte che continua la sua navigazione in un misto di impotenza e apparente tranquillità. Nella prima Repubblica quando la politica aveva una sua diversa grammatica per molto meno in una situazione slabbrata come questa si sarebbe aperta una crisi di governo e probabilmente cambiato il premier. Oggi invece si assiste a penultimatum e a qualche ultimatum ma che appaiono capitoli di un libro da scrivere all’infinito. La politica che non è mai strategia ma solo tattica, giochetti e piccolo cabotaggio.  Dunque in questa situazione dove a dominare è sempre l’incertezza, le poche certezze partono da un dato. Dopo il referendum del 29 marzo sul taglio dei parlamentari, è pressoché impossibile che si vada a votare perché prevarrà ancor di più l’istinto di conservazione. E nel frattempo ci sono le nomine, cemento di ogni governo, luogo di compensazione di parecchi malumori e aggressività. Le nomine e il tener lontano Salvini dal governo sono un discreto collante ma è difficile senza un progetto vero arrivare alla fine della legislatura. I tre protagonisti si muovono in ordine sparso. I renziani puntano a logorare Conte e sperano in un cambio alla guida di Palazzo Chigi. I grillini vivono nella paura dei sondaggi e del calo drammatico di consensi e dunque è l’istinto della permanenza all’interno delle camere a guidarli. Il PD è il partito che ha meno paura delle urne. Zingaretti è stanco dei continui ricatti di Renzi è tra i pochi ad immaginare un percorso per salvare questa coalizione anomala. L’unico errore è quello di immaginare che per governare il paese ci si possa affidare ai trasformisti, se davvero accade il rischio di perdere ogni identità è concreto. Muoversi in questa palude dunque non è affatto semplice. La maggioranza vive una permanente crisi politica ma nessuno, al momento, ha il coraggio di staccare la spina, al netto dei proclami quotidiani che servono solo alle tifoserie. Alessandro De Angelis su Huffington Post ha definito questa legislatura come una gabbia: un involucro, dentro il quale il governo di turno produce i suoi conflitti, in una dimensione separata dalla realtà e dalle sue urgenze.  Si discute di prescrizione quando le vere emergenze sono altre a partire dal lavoro, all’immigrazione, al Coronavirus.  E’ la stessa sindrome vissuta dal governo giallo-verde litigioso su ogni tema ma nel Conte 1 alla fine era Salvini a dettare l’agenda e alla fine gli altri si piegavano. Adesso a fare la voce grossa è Renzi che però guida un partito che non si è mai presentato alle elezioni, è presente solo nei gruppi parlamentari e che rischia di perdere pezzi se il suo leader continua a tirare la corda. Come ha giustamente scritto Massimo Cappellini su Repubblica, Renzi “è l’unico esempio mondiale di leader che ha trascorso gran parte dei suoi anni come capo del governo e della sinistra italiana a disperdere le proprie truppe senza neanche assicurarsi il sostegno di almeno una parte di quelle avversarie, con il risultato di essersi trovato sotto il tiro incrociato della sinistra e della destra e in fondo a tutte le classifiche di gradimento dei big. La scissione del PD è nata dall’idea di azzoppare il suo ex partito, fargli fare la fine dei socialisti francesi e ritagliarsi un nuovo spazio al centro dei giochi”. Uno schema che non è riuscito e la sfida a Conte nasce anche da questa esigenza: recuperare il voto dei moderati. Il rischio però è che a forza di inseguire il voto dei moderati ci si trova a destra.

di Andrea Covotta