I partiti e il pericolo populismo

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Il nucleo tematico della riflessione della scorsa settimana verteva sulla centralità dei partiti, cellule fondamentali della vita politica che oggi rimangono forti solo grazie alle organizzazioni parlamentare, in continuo allertamento elettorale, con apparati organizzativi consistenti grazie al finanziamento pubblico. Rispetto al passato appare evidente il cambiamento della funzione rappresentativa dei partiti: si è passati da una entità collettiva ad una forma personalistica di campagna elettorale continua che costringe l’elettore comune a votare non per un programma innovativo di partito, ma per la propinata bravura demagogica del leader, ormai furbescamente convinto che bisogna parlare alla pancia degli elettori e non alla loro sensibilita’ culturale e politica notoriamente scarsa. Si parla di partito “spugna” che in base ai ricorrenti sondaggi segue i flussi prevalenti e capta il consenso. Paolo Mancini parla di “partito liquido” che si distingue per tre peculiarità: la sua volatilità, l’incertezza nei processi decisionali e l’eccessiva personalizzazione. In breve il leader si” crea” il partito ad hoc, che nasce e muore con lui perché del tutto carente di pensiero e di solide basi ideologiche. In realtà ci troviamo di fronte a modelli di “ democrazia immediata” sostenuti dalla Rete che, di fatto, ha fagocitato la mediazione, pur in presenza di strutture intermedie ancora esistenti che lottano per non scomparire. Pur tuttavia, la rivolta contro i corpi intermedi, in modo particolare contro i partiti, non ci deve indurre nel facile errore di ritenerli prossimi alla loro scomparsa. Anzi qualche illuminato appartenente agli stessi partiti intravede che la sfida fondamentale per la loro sopravvivenza è quella di costruire un loro nuova dimensione che superando la “democrazia dei partiti” punti alla “democrazia del pubblico” dove l’elettorato-attivo e responsabile come abbiamo sempre auspicato-rappresenti un pubblico che interagisce con le prospettive delineate dalla scena politica. Questa prospettiva non è del tutto irrealizzabile anche se non dobbiamo ignorare che ci troviamo di fronte ad un pubblico frammentato in una miriade di bolle che si muovono liberamente all’interno dello spazio della Rete, mediante le grandi piattaforme tecnologiche. Il quadro politico, non solo italiano, ci presenta una forte limitazione delle contrapposizioni ideologiche- da non confondere con gli scontri verbali dei dirigenti senza pensiero-che hanno reso i partiti meno diversi l’uno dall’altro: il populismo nasce facilmente in questo humus sterile e maleodorante. Purtroppo, nel caso italiano, anche a fronte di quanto sta avvenendo all’interno della nostra realtà provinciale, non possiamo sottacere che quelli che continuiamo a chiamare partiti sono una presenza opaca che non ha nulla da spartire con il dettato costituzionale in quanto organizzazioni “tramutate in franchising di potentati personali e locali essenzialmente rivolte all’occupazione del potere”.

di Gerardo Salvatore