I pazienti coltivatori di democrazia

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Nella mia consueta riflessione di qualche settimana fa avevo auspicato l’avvento di nuovi orizzonti politici, urgenti e indispensabili, all’interno della complessa e drammatica crisi sanitaria ,sociale, economica e politica italiana. Era un auspicio il mio che ritenevo di poter coltivare cogliendo alcuni segnali di risveglio etico e politico da parte di alcuni cespugli del nutrito gruppo di eletti che hanno abbandonato la casa madre per dare vita a pattuglie in libera uscita scambiando la democrazia elettiva come un comodo ascensore per raggiungere egoistici livelli di difesa degli interessi personali. Ma su questi aspetti amorali ed odiosi della vicenda politica italiana credo sia un bene comunicativo non soffermarsi ulteriormente perché una diagnosi ricorrente non può curare una sindrome diventata cronica a causa della mancanza totale di una terapia efficace.

Allora, con gli stimati amici che mi leggono ancora, vorrei chiedermi se la democrazia –quella compiuta e credibile- abbia ancora un futuro. Attualmente, premetto, si parla di vari modelli di democrazia : democrazia rappresentativa, democrazia associativa, partecipativa, deliberativa e via dicendo. Si parla anche di democrazia “globale” in un orizzonte più vasto. In realtà la questione della democrazia oggi è diventata estremamente complessa e delicata : non casualmente il nuovo presidente statunitense Biden , nel suo discorso d’insediamento, ha parlato di “democrazia fragile” anche in contesti geografici dove essa si era consolidata.

Questa affermazione autorevole mi ha fatto subito ricercare un accostamento concettuale tra la democrazia e una pianta da frutto , “fragile” o perché troppo giovane, o perché indebolita dagli attacchi parassitari, animali e vegetali, se non prontamente curata da coltivatori solerti ed esperti , capaci di evitare il suo progressivo deterioramento vitale. La sopravvivenza della democrazia, quindi, è assicurata dalle cure di zelanti e capaci di “coltivatori”, volenterosi o responsabili che dir si voglia all’interno di una nomenclatura in auge in questi ultimi giorni. l problema vero che noi italiani abbiamo da tempo è quello della mancanza di esperti coltivatori della nostra democrazia, certamente per l’assenza di un permanente progetto formativo, culturale e politico, generatore di saperi nuovi e di responsabilità attive per costruire il bene comune per un popolo di persone in cammino.

Ahimè! Ho toccato due tasti basilari per diffondere una polifonia sociale di percezione immediata: popolo e bene comune. Rispetto al primo tasto mi pare di poter affermare che, oggi ,il punto cruciale dell’idea di popolo è sempre più difficile ad essere metabolizzata, a fronte di forze sociali e fenomeni culturali che ne rendono sempre più difficile una corretta declinazione: mi riferisco alla globalizzazione che ha fatto piazza pulita delle identità, al multiculturalismo che frammenta l’unità del popolo, all’individualismo che rende irrilevanti e politicamente insignificanti i legami comunitari. Quello di cui c’è bisogno-e lo abbiamo sempre sommessamente sostenuto- è l’esigenza, direi più concretamente la costruzione, di una società civile che sia in grado di generare e tenere in vita un popolo attivo e responsabile..

Si fa un gran parlare di società civile, della sua importanza, dell’associazionismo meritorio, dell’azione sociale necessaria: tutto questo è bellissimo e non può essere sottovalutato, ma non è detto che per ciò stesso abbiamo un popolo, perché la società civile non responsabile può produrre frammentazione e dispersione piuttosto che cooperazione sociale ed unità. Abbiamo bisogno di una società civile capace di costruire il bene comune attraverso la scelta libera e consapevole di rappresentanti capaci e disponibili per tale sforzo. In realtà il popolo si edifica intorno all’idea del bene comune. Se non c’è idea del bene comune all’interno della società civile, non ci sarà popolo e quindi non ci sarà neppure la società politica.

Queste tappe di pensiero progettuale hanno bisogno di una formazione, e quindi di una scuola, che manca tuttora. L’azione meritoria di alcune grandi associazione di promozione sociale e culturale, sul terreno da dissodare per una semina feconda, non è stata e non è tuttora sufficiente, per creare connettivi di pensiero e di azione sociale necessari per costruire un tessuto comunitario attivo e responsabile. Solo allora sarà possibile un finalizzato confronto tra il popolo di elettori e la diffusa mediocrità del ceto politico degli eletti .Recentemente e non a caso Papa Francesco ha denunciato la “eloquenza vuota che abbonda nella v ita pubblica e politica”. Frattanto , come sempre ho dichiarato, è auspicabile che, nei modi e nelle occasioni possibili, tutti quelli che ritengono di aver un debito formativo verso i giovani, parlino di futuro e di speranza in forza delle loro faticose piste di esperienza e di amore per la famiglia, per la cultura e per l’Italia.

di Gerardo Salvatore