Il bifrontismo della storia della Dc

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Ho letto nell’edizione di domenica scorsa di questo giornale due articoli-saggio dedicati alla storia della Democrazia Cristiana: uno del titolo: “Cattolici in politica. Partito di riforme e di rivoluzione” a firma di Franco Vittoria, docente  all’Università Federico II di Napoli e componente della Direzione nazionale del PD; l’altro intitolato: “La mia DC non fu partito di malfattori. Le sentenze parlano” a firma  dell’on. Giuseppe Gargani, ex deputato dc ed europarlamentare  del PPE, Presidente del Partito popolare liberale riformista. I due esponenti del mondo politico di estrazione dc prendono spunto, in modo allusivo nel caso di Vittoria, manifestamente critico nel caso Gargani, dal mio articolo ”Dopo la Democrazia cristiana”, pubblicato sempre da questo giornale il  mercoledì precedente.

Lo scritto di Vittoria svolge la tesi secondo cui con l’Enciclica “Rerum novarum” di Leone XIII (1878) e poi con il popolarismo e il meridionalismo di Sturzo furono poste le basi teorico-politiche grazie a cui Alcide De Gasperi e la DC si caratterizzarono  come un partito le cui riforme ebbero un impatto  rivoluzionario nel processo di sviluppo socio-economico e democratico dell’Italia. Vittoria conclude dicendo che quella della DC è “una storia complessa che non può ridursi a qualche «battuta»”. Naturalmente, nonostante il mio orientamento politico-filosofico di stampo marxista, non ho esitazione a riconoscere la positività dell’opera di De Gasperi e di quella parte dello Scudo crociato che ne portò avanti l’impegno e l’opera di governo. Peraltro non ho mai detto cosa diversa.

       A sua volta, l’on Gargani, pur riconoscendomi la qualifica di “uomo di cultura che abbiamo apprezzato”, mi imputa di dire della DC “cose che non trovano riscontro né nella storia né nei pettegolezzi che pure sono stati alimentati dalla stampa”. Insomma, nel succitato articolo, avrei ridotto la storia della DC e una “storia di malfattori”. A una siffatta mia falsificazione l’ex parlamentare dc e popolare, con appassionato patriottismo di partito, contrappone una sua sintetica ricostruzione della storia democristiana per dimostrare  quanto essa, tutt’intera, abbia inciso al fine di rendere l’Italia uno dei paesi più sviluppati al mondo

            Per quel che mi riguarda, non mi interessa contestare la rivalutazione garganiana “en bloc” della DC e della sua storia, ma fare presente che il senso di ciò che dico non è quello che il mio illustre interlocutore mi attribuisce. Mi basta, per farlo, citare questo passo del mio scritto: “La DC è stata un partito di bifronte, ha rappresentato, con De Gasperi, Fanfani, Moro e, perché no, lo stesso De Mita, una intuizione di libertà  e una prassi democratica  che hanno positivamente contribuito alla crescita socio-economica e politica culturale  in collaborazione con i socialisti  e in dialogo dialettico con i comunisti, ma è stata  anche il partito di cui larghi settori i  formati da  dorotei, andreottiani e reazionari della più bell’acqua hanno creato un antistato criminale” etc. Dunque, per me, la DC è stata affetta da un bifrontismo persino manicheo, pur se spesso ovattato, la cui azione di governo ha avuto, a un tempo, effetti altamente benefici e drammaticamente malefici sulla società italiana. Va senza dire che, in ossequio alla verità, ritengo non solo De Mita, che ho annoverato tra i quattro democristiani maggiori, ma anche i suoi amici Bianco, De Vito, Gargani, Mancino e Zecchino hanno compiuto un’opera pregevole, meritevole di essere ereditata e innovata in sintonia con i tempi nuovi dalle forze democratiche specie di ispirazione cattolica.

di Luigi Anzalone