Il bivio di Salvini

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A due settimane dall’appuntamento del 26 maggio gli ultimi sondaggi resi pubblici (poi, almeno in Italia, se ne potranno fare ma solo riservatamente) confermano un trend che avevamo già avuto modo di rilevare: la Lega e il suo leader Matteo Salvini sono come quel ciclista che avendo iniziato troppo in anticipo la volata rischia di arrivare al traguardo in affanno; i 5 Stelle inseguono, accorciano le distanze ma non andranno oltre la piazza d’onore, però hanno una riserva di energia che potranno utilizzare per la tappa successiva. Perché la gara non finisce qui. Il Pd potrebbe rientrare in gioco se superasse i grillini (cosa non impossibile ma molto difficile), ma si accontenterebbe di un risultato superiore al 20% per dichiarare chiusa la fase acuta della propria crisi. A destra, Fratelli d’Italia è in ascesa, Forza Italia in calo, ma nessuno dei due partiti può insidiare il primato leghista in quell’area politica. Infine +Europa, ultima metamorfosi elettorale dei pannelliani è destinata, come sempre, a navigare attorno alla soglia minima della rappresentanza parlamentare.

Se questo quadro verrà confermato dai risultati del voto, appare chiaro che il prosieguo della legislatura dipenderà dai due partiti che hanno firmato il contratto di governo. Da quel perimetro non si esce. Dunque, l’attenzione è concentrata su Lega e Cinque Stelle, protagonisti indiscussi della campagna elettorale che sta per chiudersi. E la novità emersa nelle ultime settimane è che fra i due partiti e i due leader che li guidano, è Matteo Salvini, a trovarsi in maggiori difficoltà. Non perché il primato nei consensi gli possa essere insidiato, ma perché nelle ultime settimane, praticamente dalla conclusione della stagione di elezioni regionali e amministrative di questa primavera, ha perso il controllo dell’agenda politica e di governo, che è passato nelle mani di Luigi Di Maio o, se vogliamo, di un Giuseppe Conte apertamente schierato dalla parte dei Cinque Stelle. I temi forti – sicurezza, migranti, autonomie – che sul piano della propaganda hanno supportato l’ascesa della Lega nei sondaggi e nelle elezioni parziali, hanno perso appeal o in qualche caso hanno provocato una reazione di rigetto, soprattutto quando Salvini si è spostato decisamente verso destra adottando toni e accenti estremisti e soprattutto irridendo le tesi e le posizioni antifasciste che evidentemente, e fortunatamente, sono più radicate di quanto non si pensasse nella cultura politica degli italiani. Un passo falso, che Di Maio ha avuto l’abilità di sfruttare a suo vantaggio presentandosi come sostenitore dei diritti e delle garanzie democratiche. La polemica sul 25 aprile e il caso del sottosegretario Siri hanno segnato il punto di svolta e l’inizio del declino del consenso leghista, al quale le elezioni europee metteranno un punto fermo.

Da quel momento in poi, dunque dal 27 maggio, Salvini si troverà ad un bivio: stracciare il contratto di governo o rassegnarsi all’egemonia grillina. Già di Maio gli ha fatto notare piuttosto rudemente che i Cinque Stelle hanno la maggioranza della coalizione in Parlamento e nel Consiglio dei ministri, situazione che non cambierà; poi lo ha apostrofato in modo sprezzante: “Ci auguriamo che dopo il caso Siri la Lega non perda la testa”. A questo punto, chiedere e ottenere un riequilibrio nella maggioranza a favore della Lega è illusorio. Se Di Maio riesce a contenere le perdite, non sarà lui a rompere l’alleanza; se sarà Salvini a rovesciare il tavolo, rischierà di trovarsi ostaggio di Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni.

di Guido Bossa