Il “brodino di Einaudi”

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Secondo una diffusa opinione, derivante dai vari giudizi espressi sui nostri Capi di Stato- dalla nascita della Repubblica ad oggi- un presidente ideale dovrebbe avere in mente tre verbi esortativi : “Consigliare, incoraggiare, avvertire”. Che furono, dal maggio 1948, le “stelle polari” del settennato di Luigi Einaudi; il quale, in uno dei momenti più delicati del ritorno della democrazia e della sua riorganizzazione, seppe avere in ogni circostanza grande equilibrio e autorevolezza. Un ruolo, propiziato ogni giorno, prima di mettersi al proverbiale scrittoio di lavoro, da una energetica tazzina di brodo, metafora di una semplicità frugale, campagnola. Ma oggi possono ancora bastare questi orientamenti ? La lotta politica, si sa, che è il fondamento della Costituzione; essa però va soprattutto riferita al corretto rapporto tra maggioranza che governa e minoranza che controlla. Quando invece si annida e si inasprisce in seno alla maggioranza di un esecutivo da far degenerare una comprensibile competizione in un rusticano e permanente duello, sfiora la fellonia, salta ogni regola. E’ ciò che sta avvenendo da tempo in seno al governo M5S e Lega, la cui storia fa rimarcare nettamente i timori fondati dei tanti, che, in quel “contratto” da “sbrocca- governo” , videro solo un espediente per andare a Palazzo Chigi, nella famosa stanza dei bottoni, con il manuale “Giorgetti – Di Maio”, il colmo della ingordigia rispetto al sobrio Cencelli. Da sempre, in ogni sede, politica, istituzionale, del mondo produttivo e dell’associazionismo, ci si infervora sulla necessità di puntare su una grande visione di sviluppo, indispensabile in un mondo, dove si compete ormai tra continenti. Sinceramente riesce impossibile rassegnarsi che nel “paccotto” del cambiamento di Pentastellati & Leghisti Associati non vi sia a riguardo un solo accenno. Questa rissa continua, quale che sia, sceneggiata elettorale per coprire errori, compromessi, ipocrisie e altro o una naturale resa dei conti, prevedibile e prevista, ferisce e offende la democrazia parlamentare , fondata sul dialogo, il confronto, non su furbizie, trappole da masnadieri. Il Paese, già stressato da un anno orribile, sotto ogni profilo, non può tollerare oltre ricorrenti malizie e schermaglie di M5S e Lega e dover ancora attendersene un seguito. Tornando all’iniziale , prezioso riferimento “einaudiano” , un giorno , anche il saggio e prudente presidente Einaudi, dopo aver consumato il suo brodino, forse più carico e energetico del solito, dovette aggiungere ai tre “verbi-guida”, un quarto decisivo, quello che serviva per l’occorrenza: “Intervenire”. Dopo il 7 giugno del ‘53, quando la Democrazia Cristiana perse la maggioranza assoluta e l’intera coalizione dei partiti di Centro venne compromessa dal fallimento della legge elettorale maggioritaria, Einaudi non ci pensò due volte a servirsi del potere attribuito al Capo dello Stato per trovare un Presidente del Consiglio, che potesse avere la fiducia delle due Camere. In quella ricerca non si fece legare troppo dalla pressione dei partiti e dei gruppi: interpretando largamente i suoi poteri istituzionali, portò a Palazzo Chigi, Giuseppe Pella. Un economista e un monetarista provvidenziale per quegli anni inquieti, del quale gli ispettori americani, venuti per un controllo , dissero che “ non usò nemmeno un dollaro dei fondi del piano Marshall per la spesa pubblica ma tutti per mettere ordine nella finanza pubblica e stabilizzare il bilancio dello Stato”. Oggi quanto potrebbe insegnare quella lontana impennata presidenziale! Infine, giova ricordare una singolare curiosità: nel governo Pella d’emergenza , il Ministro dei Trasporti era Bernardo Mattarella, padre dell’odierno Capo dello Stato.

di Aldo De Francesco