Il cammino parlamentare del governo Draghi si concluderà oggi con il voto della Camera. Un esecutivo che ha un paragone possibile in quello che è considerato l’ultimo governo della prima repubblica, guidato, dall’aprile del 1993 al maggio del 1994, da Carlo Azeglio Ciampi. Ventotto anni fa una classe dirigente al tramonto fu travolta dalle inchieste di Tangentopoli e il capo dello Stato Scalfaro si affidò per la prima volta nella storia della Repubblica ad un non parlamentare, che dalla Banca d’Italia passò a Palazzo Chigi. Una sorta di commissariamento per dei partiti che sembravano immortali. La crisi politica di oggi è ovviamente diversa da quella di allora ma per certi versi presenta delle analogie. Anche oggi i partiti, pur essendo molto più deboli di allora, sono apparsi non all’altezza di una situazione drammatica e una legislatura senza un punto di equilibrio si è via via balcanizzata fino a portare all’implosione di due maggioranze diverse. Anche Draghi come Ciampi viene da Banca d’Italia, dal 2005 al 2011 è stato governatore e adesso deve cimentarsi con la politica e con i partiti che, per il momento, hanno fatto un passo indietro ma sono pronti a ritornare sulla scena. Una personalità esterna come fu Ciampi o oggi Draghi ha la necessità di restituire credibilità e fiducia nelle istituzioni e facilitare il dialogo tra forze diverse. Quello che è avvenuto in questi giorni, senza troppi giri di parole, è il declino della funzione della politica in un paese che continua a contare i morti e ha assistito al trionfo dell’inconcludenza. Il secondo governo Conte, nato per arginare il populismo, ha pagato l’assenza di una coesione politica e gli attacchi di Renzi e adesso tocca a Draghi ridare dignità alla politica. Sarebbe ingeneroso attribuire questa crisi solo all’ultima legislatura e al doppio governo Conte, l’attuale realtà riflette uno smarrimento che ha radici antiche e il sociologo De Rita ricorda “una vecchia discussione tra Moro e Andreotti. Il primo sosteneva che la politica dovrebbe guidare la società verso obiettivi nuovi e progressivi. Andreotti rispondeva: la politica non deve guidare la società, ma rassomigliare alla società, se vuole il consenso. Questa frase rappresenta quanto è successo negli ultimi anni in Italia: la politica cerca di essere uguale alla società. Se la società è becera, il politico è becero. Se la società esprime dei bisogni, si risponde ai bisogni. La società chiede cassa integrazione, bonus monopattino e bonus vacanze? La politica darà loro queste cose. È così che si crea il consenso. Ma questa è anche la tragedia del modo in cui viene gestita l’emergenza: tale rapporto vicendevole, quasi di complicità, tra società e politica esclude una visione di lungo periodo”. Ed è in questa cornice di fallimento che è nato il governo Draghi non per volontà dei partiti che anzi lo hanno subito, ma per espressa richiesta del Presidente della Repubblica che ha risolto una crisi non solo politica ma che si è rivelata una crisi di sistema. Di solito un governo si contraddistingue per la spartizione dei ministeri e per il peso di ogni singolo partito, in questo caso l’identità è data soprattutto dal Presidente del Consiglio che ha un doppio compito rassicurare il Paese e amalgamare forze politiche diverse. Chi critica questo governo lo ha già definito come un’ammucchiata, ma oggi tenere insieme gli opposti è fondamentale per riorganizzare su basi nuove un sistema al collasso. E’ chiaro che l’esperimento è a tempo, poi destra e sinistra, politica e populismo torneranno a dividersi e ad essere alternativi. Nell’immediato la vera discontinuità rispetto al passato è un lavoro da fare insieme, una coesistenza temporanea tra diversi.
di Andrea Covotta