Il destino sospeso delle aree interne

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Decifrare, rendere la “cifra”, la chiave interpretativa dei tempi che stiamo attraversando, caratterizzati da un costante periodo di crisi, significa produrre uno sforzo che puó contribuire a comprendere i cambiamenti, “la mutazione antropologica” determinata dalla “crisi nella crisi” che sta investendo l’intero Mezzogiorno. E’ avvertito, d’altra parte, il disagio di logorare le parole. Spesso, infatti, anche le parole non riescono più a cogliere la crudezza della realtà, di una narrazione che è il racconto della cronaca spietata di questi tragici tempi di profonda crisi, vissuti con un profondo senso di “spaesamento”, avendo giá conosciuto lo scardinamento delle fondamenta di una comunità territoriale deprivata della dignità di abitare la propria terra.
Il Sud, oggi, vive una condizione di minorità. Sprofondato nell’inferno di una condizione assolutamente drammatica, il Mezzogiorno porta sulle sue spalle la pesante zavorra della propria storia recente e passata e il carico di eventi epocali che parlano di generazioni sospese tra fuga e oblio. Con il corpo esangue dei territori delle aree interne progressivamente svuotati dallo spopolamento e dalla grave anoressia demografica, con la ripresa dell’emorragia demografica causata dalla piaga delle nuove emigrazioni.
Lo spopolamento, e lo “spaesamento”, che vivono oggi le aree interne è direttamente proporzionale all’inadeguatezza, all’assoluta insipienza di una classe politica locale malata di presenzialismo. Ricorrendo a parole non consunte, mutuando un pensiero di Gianni Rodari,  diciamo pure  che “qualche volta fanno compassione. Non si sono accorti che il mondo cambia, che i vecchi proverbi non bastano più a mandarlo avanti, che ci vuole gente nuova, di coraggio, che abbia fiducia nelle proprie mani e nella propria testa”. Sarebbe ora che “le banali rappresentazioni” di questa politica affetta da viscerale egocentrismo lasciassero finalmente il posto ai contenuti.
Sarebbe ora che le “banali rappresentazioni”, lasciassero il posto a quel “bene comune” che dovrebbe sovrintendere l’agire politico, come scelta radicale di vita individuale, associativa e politica che metta veramente al centro la persona, la comunità. E il destino delle comunità delle zone interne, di province come l’Irpinia, oggi sembra sospeso nel limbo.
La marginalità di aree come la provincia irpina, nella cartina politica del Paese, con le criticità tipiche delle aree deboli, è davanti agli occhi di tutti. Attraversate da un senso di smarrimento, scaturito dalla perdita di punti di riferimento, le aree interne  semplicemente corrono il rischio di scomparire.
Quello che é certo é che siamo ad un giro di boa significativo della propria storia recente e i segnali che stanno lì, a indicare una profonda e radicale trasformazione del territorio, e delle comunità, vanno interpretati nel quadro di un processo involutivo dei territori che stanno accusando una progressiva “desertificazione”.
I territori delle aree interne sono sempre più esposti al saccheggio di quel che resta di una terra già fortemente indebolita da anni e anni di stupro paesaggistico. Sul Mezzogiorno sembra essere calato un buio profondo. La “notte” del Mezzoggiorno, del Meridione interno, sembra essere ancora molto lunga e non sappiamo se il Sud, questo Sud lacerato in profondità nel proprio tessuto sociale, sarà davvero capace di rimettere le lancette della storia sulla sua “ora”, sul Mezzogiorno, ed evitare che ci sia la “mezzanotte del Mezzogiorno”.

di Emilio De Lorenzo