Il difficile passaggio post voto

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Il referendum, con la straordinaria partecipazione degli elettori e il grande voto di popolo contro quella che è apparsa come una manomissione della nostra Costituzione, è finalmente alle nostre spalle. Non così le sue conseguenze. Né il suo peso sugli assetti politici futuri, che si faranno sentire per lungo tempo. Sul versante costituzionale, il risultato ha sancito (speriamo!) la fine della inammissibile prassi che ogni maggioranza tenta di farsi la Costituzione che più le aggrada. Sul piano più strettamente politico, si delineano scenari politici di non facile interpretazione. Se avesse vinto il sì, si sarebbe andati verso il partito della Nazione incombente da tempo. E Renzi non avrebbe fatto prigionieri. Ora quell’ipotesi sembra tramontata. Lo sfondamento strategico renziano a destra è fallito, con l’elettorato di quel versante che ha optato per il no. E l’ex – Cavaliere, uscito comunque bene grazie alla doppia collocazione (personale per il no, aziendale per il sì) intende giocare il suo ruolo. Il risultato referendario riapre il tavolo delle trattative politiche. Speriamo per fare una legge elettorale rispettosa del criterio della rappresentatività e non solo un pastrocchio abborracciato per impedite la vittoria del M5S.
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Gli accenti più bellicosi sulla necessità, o comunque, disponibilità ad andare subito a nuove elezioni provengono soprattutto da parte di Lega e M5S (tuttavia elettoralmente concorrenti in molte aree). Tutti sanno, però, che questa difficilmente sarà un’ipotesi praticabile. Infatti, allo stato, per la Camera si voterebbe con l’Italicum in vigore, compreso il suo abnorme premio di maggioranza! Per il Senato invece con il cosiddetto Consultellum, cioè la risultante dalla legge approvata in precedenza, una sora di proporzionaler. Privata però del premio di maggioranza unico nazionale, dichiarato illegittimo dalla Consulta perchè la Carta costituzionale prevede solo dei premi a livello di singola regione. Sarebbero, così, elevatissime le probabilità che due sistemi così profondamente diversi producano maggioranze diverse tra le due Camere.

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Per il Senato, sopravvissuto al referendum, già oggi occorre varare una nuova legge elettorale. E sulla legge elettorale della Camera, l’Italicum, pesa ancora il giudizio della Corte costituzionale, prevista per febbraio. In questo quadro, è un azzardo pensare che il Presidente della Repubblica firmerebbe lo scioglimento delle Camere senza leggi elettorali capaci di assicurare una maggioranza parlamentare il più possibile omogenea. Allora, è forse possibile prevedere che il Parlamento (tra l’altro notoriamente allergico a improvvisi scioglimenti anticipati!) avrà bisogno di più di qualche mese per vararle entrambe. Infatti, già le prime mosse, apparentemente felpate, fatte filtrare dal Presidente della Repubblica, sono andate nella direzione di assicurare il varo della legge di bilancio e il rispetto delle altre scadenze istituzionali. Occorrerà tempo, anche per valutare politicamente possibili cambiamenti di posizione delle forze più piccole, orfane della forza centripeta di una costellazione renziana ormai appannata.

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Molto, tuttavia, dipenderà dall’esplorazione dei veri margini di operatività residui in un Pd uscito elettoralmente diviso dalle urne, con la sua leadership fortemente delegittimata. La minoranza, prima per lungo tempo afona, appare ora ringalluzzita. E desiderosa di contare, imponendo un sensibile cambiamento di linea politica. Essa, tuttavia, non avrà un compito facile in presenza dei colpi di coda della fine della leadership renziana così come finora l’abbiamo conosciuta. Intanto il premier ha coronato il suo dichiarato abbandono di palazzo Chigi con l’ennesima bugia. Aveva promesso (ma chi ci credeva?) che, in caso di sconfitta, avrebbe lasciato la politica. Ora, invece, resterà segretario del Pd. E non per sfogliare margherite! Lo sferzante invito ai vincitori referendari a fare proposte sulla legge elettorale e il suo rifiuto di qualsiasi ipotesi di reincarichi – per evitare il rischio di finire alla guida di un esecutivo debole, in balìa degli strali del M5S e della minoranza interna – fanno apparire chiarissma la sua intenzione di non lasciare affatto il campo. Anzi, di presidiare il territorio in attesa di una rivincita elettorale immaginata a breve! E l’uomo, spregiudicato e ferito, appare ancora più pericoloso di prima. Aggiungiamoci anche l’avventato annuncio di Lotti di voler ripartire dal 40% elettorale (come se quella percentuale appartenesse alla sola maggioranza del Pd!) Ne risulta un quadro che lascia intendere l’inizio di una stagione di veleni. E sembra manifestare, addirittura, la volontà renziana di una possibile rivincita a breve, con l’anticipo delle elezioni. Tutto questo non depone a favore di una ritrovata unità d’azione del partito di forte maggioranza relativa. Con tutte le gravi incognite conseguenti sul quadro politico e sul Paese!
edito dal Quotidiano del Sud