Il direttore Festa a confronto con il Presidente De Mita tra tragedie di ieri e di oggi e il ruolo della politica

0
1007

 

Castelfranci – Il libro dello storico castellese Toni Ricciardi "Marcinelle, 1956: quando la vita valeva meno del carbone", ricorda una delle più grandi tragedie dell’emigrazione italiana del secondo dopoguerra, di cui ricorre il sessantennio: 262 morti, più della metà, 136, arrivati dalla profonda provincia dello stivale. Un paese ancora informe nelle sue istituzioni, il cui Governo però aveva spinto la popolazione ad andare via e lavorare nelle miniere di carbone del Belgio. Tutto sancito in un accordo di emigrazione sottoscritto nel 1946: il prezioso fossile in cambio di braccia da mandare anche a 1000 metri sotto le viscere della terra. Marcinelle ha dato una spallata a quella visione: troppa l’indignazione. E, insieme, un paese che si avviava a vivere il suo boom economico. Il libro, naturalmente, riflette su quella stagione.
E il dibattito, moderato dal direttore del Quotidiano del Sud Gianni Festa, non può che vertere sulle migrazioni di oggi. Quelle ‘subite’, col Mediterraneo come tragico teatro (anche dell’assurdo). Quelle vissute ancora oggi dagli italiani, in special modo in un’area come l’Alta Irpinia che con il Progetto Pilota prova a invertire questa tendenza. «La strategia aree interne può tracciare la strada su come superare questa problematica» introduce il sindaco di Castelfranci Generoso Cresta, padrone di casa. Festa ricorda alcune immagini che infiammano la discussione: la speranza di una casa costruita pezzo per pezzo, con tanto sacrificio, da chi era andato via, per ritornare in Irpinia. E, oggi, i figli di quella gente che in provincia ci torna, sì. Ma solo per vendere l’abitazione. A cogliere e ampliare ci pensa il leader Udc Ciriaco De Mita, che ‘duella’ intellettualmente con l’autore del libro Ricciardi. In passato, chi emigrava aveva un senso profondo della famiglia, dice: lavorare tanto e sacrificarsi per mandare a casa il denaro. Oggi la globalizzazione sta strappando via quel senso di comunità: «La classe dirigente – ammonisce – non sembra cogliere questo aspetto». Quindi la visione del futuro: un’Europa che, finalmente, vada avanti con il processo di integrazione politica. E, in parallelo, garantisca più autonomia nel governo delle comunità locali. Tornando ad oggi, la ricetta per reagire alla problematica emigrazione del presente: non limitarsi al problema accoglienza, come sembra fare il Governo Renzi. Ma, se quelle persone scappano da paesi in guerra, costruire un nuovo equilibrio geopolitico, che veda l’Europa come protagonista. O sarà la fine della visione di un vecchio continente unito, per altro già avversato da populismi di rigetto che rischiano di richiudere di nuovo gli stati su se stessi. Poi, interviene Ricciardi, focalizzandosi su un ragionamento: capire la tragedia di Marcinelle è chiave per cogliere il presente. Ma anche per riflettere sul modo in cui le classi dirigenti hanno governato l’Italia in quel periodo di profonda ricostruzione quale è stato il secondo dopoguerra. La tesi? La storia racconta sempre del grande boom economico, dei protagonisti. Dimenticando un aspetto fondamentale: quanto il sacrificio di milioni di italiani (e concretamente le rimesse in denaro verso l’Italia) abbia contribuito a rimettere in piedi il paese, dando una spinta decisiva al nostro sistema economico. E, quindi, alla nostra democrazia. In un certo modo, la politica ha ‘usato’ quella materia umana per raggiungere l’obiettivo della crescita. «Perché» si chiede Ricciardi. E, in parallelo, pensando al raccoglitore di pomodori a due euro l’ora, la domanda: quale la responsabilità delle classi dirigenti (di ieri e di oggi)?
L’incontro si chiude con una sollecitazione a De Mita da parte di Festa: di fronte all’emigrazione politica, alla scomposizione dei grandi partiti, quale il futuro dei popolari? Forse, aggiungiamo noi, perché lo stesso leader Udc ha lasciato intendere di aver immaginato, più volte, una casa su misura fatta apposta per loro? De Mita, un po’, si smarca. «La prossima volta. Un discorso che non si risolve certo con qualche battuta». Ma che (chissà) potrebbe partire proprio dall’Alta Irpinia.