Il duro atto d’accusa di Albanese: la comunità internazionale avalla i crimini di Israele e l’informazione censura chi è contro l’opinione dominante

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“Una requisitoria contro il sistema di impunità di cui gode Israele da parte della comunità internazionale”. Spiega così Francesca Albanese, arianese doc, relatrice speciale delle Nazioni Unite nei territori palestinesi il suo volume “J’accuse”. Sarà presentato questo pomeriggio, alle 18, presso il Circolo Arci di Atripalda. A introdurre l’incontro Francesca Pesce, direttrice del dipartimento Diritti Umani di MGA-sindacato nazionale forense, responsabile migrazioni per Arci Avellino. Modera Rosanna Maryam Sirignano, formatrice in lingua e cultura araba e Studi Islamici, fondatrice di MaryamEd (www.maryamed.it), autrice de “La mia Siria” e “Il velo dentro” e divulgatrice.

“Il mio – chiarisce Albanese – è un atto d’accusa che richiama istituzioni e sistema dell’informazione alle proprie responsabilità, chiama in causa le autorità palestinesi in Cisgiordania e Gaza che non rispondono alle istanze del loro popolo, le autorità d’Israele che portano avanti il loro piano di colonizzazione ed espansione e la comunità internazionale che continua a tacere sui crimini commessi da Israele, dando prova di ipocrisia e mala fede. Il rischio di fronte al quale ci troviamo è che si profili presto l’ipotesi di genocidio. Diverse sono le organizzazioni internazionali che hanno fatto ricorso contro Israele alla corte di giustizia internazionale. Assisteremo ad una vera battaglia legale”. Ribadisce come “I poteri forti continuano ad avallare i crimini d’Israele. Complice è anche il sistema di informazione, che non ho paura di accusare di apologia di reato. Si continua a parlare del 7 ottobre, dell’attacco di Hamas a Isreale ma si dimenticano i 30.000 palestinesi uccisi in 80 giorni e i morti potrebbero arrivare presto a 500.000 dopo la distruzione degli ospedali, a causa dell’impossibilità di assistere i feriti”. A chi le chiede le ragioni del netto schieramento delle potenze internazionali pro Israele spiega che “E’ un problema globale dei paesi occidentali. I 500 anni di colonialismo, che hanno vista anche l’Italia protagonista, hanno lasciato un’impronta nel dna degli occidentali. C’è un forte sentimento razzista che fa sì che alcuni morti contino più di altri, si è visto nel caso della differenza tra i rifugiati ucraini e gli altri rifugiati. E’ vero che Hamas ha commesso dei crimini ma tante delle notizie che vengono diffuse sono fandonie, come la decapitazione di 40 bambini che non c’è mai stata” o le violenze carnali di cui non ci sono prove. Così le violenze commesse da Hamas sono amplificate e condannate mentre quelle che commette Israele sono giustificate sulla base del diritto all’autodifesa. Si difende a spada tratta quello che fa Israele sulla base di interessi economici e finanziari. E’ vero che gli ebrei sono stati vittima di un olocausto, non certo l’unico della storia ma oggi si nega l’evidenza, i dati relativi ai 21.000 morti palestinesi, di cui 10.000 bambini, arrivano dall’Onu, come i 1000 bambini che hanno dovuto subire amputazioni, anche perchè Israele da due mesi impedisce l’ingresso di beni essenziali”. Spiega come “la mobilitazione popolare c’è anche in Italia ma non basta, molto spesso viene censurata o duramente contestata. Chi scende in piazza viene accusato di essere antisemita o di sostenere il terrorismo, assimilando Hamas all’Isis e dimenticando che c’è differenza tra la discriminazione nei confronti degli ebrei in quanto ebrei e le critiche nei confronti del loro governo. Chi si oppone all’opinione dominante viene contestato da giornalisti che non hanno idea neppure di quella che era la realtà dei territori prima del 7 ottobre. E’ evidente che, così facendo, dopo aver ucciso 5 generazioni di famiglie, dopo 16 anni di assedio, Isreale finisce solo con il rafforzare Hamas. Quello che chiediamo è che i crimini commessi sia da Hamas che da Israele siano giudicati in egual modo dalla corte internazionale”.

Spiega come “parlare oggi di conflitto non è corretto, c’è un’occupazione militare che va avanti da 56 anni, che è servita allo stato di Israele per appropriarsi dei territori di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme orientale cacciando i palestinesi o incoraggiandoli ad emigrare. Lì dove sono rimasti, vivono, invece, in una condizione di sottomissione, in un regime di dittatura, giudicati da corti militari. Ecco perchè riteniamo che quanto accaduto il 7 ottobre possa offrire l’opportunità per cambiare registro, c’è bisogno di un cessate il fuoco immediato e che Israele sospenda il proprio piano di esapndersi e svuotare Gaza. Al tempo stesso chiediamo il dispiegamento di una missione di pace di interposizione tra palestinesi e israeliani e che Israele ritiri le sue truppe dai territori palestinesi o che almeno si garantiscano ai cittadini palestinesi i loro diritti”

Ricorda come “sono tanti gli israeliani che si oppongono all’eccidio ma la loro voce viene occultata. Se è vero che in italia la sinistra ha sempre difeso storicamente i diritti dello stato di Israele e insieme dei palestinesi, l’impressione è che oggi abbia smesso di combattere, tradendo le attese di tanti cittadini che non hanno mai smesso di credere negli ideali di pace e libertà. Io stesso devo fare i conti con la censura, faccio fatica a parlare del mio libro, nessun programma televisivo ha voluto ospitarmi”

Sottolinea come “Da 19 anni sono relatrice dell’Onu nei territori plalestinesi, ho vissuto in Palestina tre anni,  ma mi occupo della questione arabo-israeliana dal 2010, prima come funzionario della Nazioni Unite, poi come accademica. Non mi viene consentito di recarmi in Palestina ma sono riuscita, attraverso gli spazi virtuali, a confrontarmi con organizzazioni israeliani e palestinsi, ho curato un rapporto sul sistema detentivo che ha visto finire in carcere un milione di palestinesi e sull’infanzia. L’umiliazione costante, la condizione di apartheid in cui vivono i palestinesi si taglia con mano”