Il fallimento della diplomazia

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Il sempre piu’ preoccupante scenario geopolitico europeo ed internazionale ci porta a ritenere che il pacifismo di testimonianza del ventesimo secolo – sempre piu’ diffuso e meno influente- non è piu’ in grado, da solo, di far avanzare la causa della pace. La stessa tradizionale diplomazia , nonostante i tanti sforzi compiuti da piu’ parti,si è dimostrata inefficace nell’evitare una guerra atroce e ingiustificata. Evidentemente il mantenimento della pace sulla terra esige molto di piu’, nelle attuali condizioni storiche. San Giovanni Paolo II° fu tra i primi ad avvertire questa esigenza. Difatti, nel suo primo Angelus del 2002, il grande pontefice polacco, forte della sua travagliata esperienza nazionale, disse:” Forze negative, guidate da interessi perversi, mirano a fare del mondo un teatro di guerra”. Parole profetiche ed inquietanti che si sono puntualmente tradotte in allarmanti ed attuali situazioni belliche. Profezia globale che rileva ed accusa come la guerra continua a rimanere un’opzione ricorrente nelle agende politiche internazionali. All’interno di questo orizzonte buio lo stesso pacifismo di testimonianza sembra attualmente afflitto da un paradosso: da una parte ha bisogno della guerra per rivendicare la pace, dall’altra reagisce sempre piu’ tiepidamente di fronte alla miriade di conflitti- le tante guerre a pezzi di cui ha ripetutamente parlato Papa Francesco-che coinvolgono popoli “marginali”. Non casualmente, nel 1984, Mario Albertini-grande filosofo e militante federalista europeo- scrisse che il pacifismo di testimonianza coltivava il “sogno di eliminare la guerra senza distruggere il mondo delle guerra “, ossia le condizioni concrete che alimentavano la guerra come il commercio delle armi. Il primo atto concreto in materia fu la revisione radicale del mercato globale delle armi. Da tempo, dopo gli Usa, la Russia è il secondo esportatore al mondo di armamenti. Lo stesso Trattato sul commercio di armi convenzionali non è stato firmato da Usa,Russia e Cina. Ancora piu’ preoccupante è la mancata revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. Allora se il pacifismo di testimonianza non basta, attualmente è urgente attivare” il pacifismo istituzionale ”con il significativo slogan: se vogliamo la pace prepara istituzioni di pace, ossia “si vis pacem, para civitatem”.A tal proposito risuonano, ormai da non poche settimane, le parole di Matteo(5-9)” Beati gli operatori di pace” con un approdo storico attuale alla Populorum Progressio che sottolinea come “ lo sviluppo è il nuovo della pace”. Il 5 marzo scorso ,a Roma, si svolse una grande manifestazione nazionale contro la guerra in Ucraina, organizzata dalla Rete Pace Disarmo, con un appello rivolto a tutte le organizzazioni pacifiste e antimilitariste:” condanniamo l’aggressione dell’Ucraina”. Si chiese , anche, il “cessate il fuoco e l’immediato ritiro delle truppe” e all’Onu “un’azione per il disarmo e la neutralita’ attiva”. Una settimana dopo, il 12 marzo,, si è svolta a Firenze la manifestazione “Cities stand with Ukraine” promossa dalle citta’ europee aderenti a Eurocities, per dire no alla guerra in Ucraina, in linea con la grande intuizione politica di Giorgio La Pira. Non credo che questi eventi ed altri similari possono essere frettolosamente liquidati come banale pacifismo di testimonianza –senza ignorarne i limiti gia’ evidenziati- ,ma bisogna riconoscere che 50 mila partecipanti non sono una comunita’ di formiche, ma parte viva ed attiva di popoli capace di interloquire con i potenti del modo che, per quanto sordi possano essere, non possono ignorare che da essi sono stati eletti.

di Gerardo Salvatore