Il fiume rosso delle morti bianche

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“La festa del lavoro è festa per la Repubblica. Il primo articolo della Costituzione costituisce il fondamento su cui poggia l’architettura   dei principi della nostra democrazia e della nostra civiltà. Il lavoro è misura di libertà, di dignità, rappresenta il contributo alla comunità. E’ strumento di realizzazione dei diritti sociali. E’ motore di rimozione delle disuguaglianze, tema essenziale dopo la pandemia che le ha aggravate e create di nuove. Premessa di tutto è la sicurezza sul lavoro. E’ una battaglia che viene da lontano. L’integrità della persona e della salute dei lavoratori è parte essenziale della visione che ispira il nostro patto costituzionale”.

Queste parole fanno parte del nobile e grande discorso  che il Presidente della Repubblica ha tenuto in occasione della celebrazione, al Quirinale del primo maggio di quest’anno. L’on. Sergio Mattarella ha finalizzato il suo dire  alla  richiesta, rivolta al governo, al parlamento e alle forze politiche e sociali, di “unità di sforzi  per la sicurezza dei posti di lavoro”, avendo come obiettivo a breve termine  “morti zero”.

Fa onore al nostro Capo dello Stato aver fatto suo il grido di dolore  che sale dal nostro Paese attraversato ogni giorno dal fiume rosso di sangue delle cosiddetti “morti bianche”, così chiamate con cinica e beffarda ipocrisia. Ecco in che cosa c’imbattiamo sfogliando il “Bollettino trimestrale Inail”: nel 2021 sono morti 1221 lavoratori, spesso in modo orrendo,  straziante, vale a dire alla media di tre incidenti mortali al giorno. Dal 2008  a oggi il numero dei morti sul lavoro è pari a 20.000. Detto altrimenti, così numerosi sono quelli che, vecchi o giovani, donne e anche bambini, sono andati di mattina a lavorare e sono tornati a casa la sera o dopo l’autopsia in una bara. Dall’inizio  di quest’anno i morti sono 200. Inoltre non si può certo tacere che, sempre i secondo dati Inail, che 811 sono le persone decedute  per aver contratto il Covid nel luogo di lavoro.

Insomma, stiamo parlando di una strage  continua, peraltro  impunita. Infatti, quando qualche padrone, pardon imprenditore, è condannato, si tratta di condanne  che farebbero dire a Ciccio Formaggio: “Che risate, che risate mi son fatto nel panciotto!” Diceva Agnese, a sua volta, che parlava nel romanzo manzoniano del suo secolo, il Seicento, ma divinava anche  ciò che accade nel nostro terzo millennio: “Le leggi le fanno loro”. Ovvero, Lor Signori,  gli stessi  che non si sono vergognati  di mettere quasi la sordina al discorso del Presidente Mattarella sui loro giornali e giornaloni. Detto en passant, senza piaggeria: che Dio ci conservi a lungo il “Quotidiano del Sud” di Gianni Festa su cui si può scrivere liberamente  la verità e parlare di lavoratori e padroni o sfruttatori, altro che imprenditori e datori di lavoro!

Per  completezza di informazione, facciamo presente che nel 2021 555.236 sono state  le patologie  contratte sui luoghi di lavoro, con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente, mentre gli infortuni sul lavoro, almeno quelli denunciati, sono  55.236. Infine, non occorre mica essere l’oracolo di Delfi  per prevedere che il governo Draghi non farà  nulla o quasi  per rendere effettivi i controlli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, né il parlamento varerà una legge sulla tutela della salute e della vita di chi lavora, inasprendo le pene per chi spinge lo sfruttamento fino a provocare la morte di chi lavora spesso per un salario di fame, e da precario. Fa male al cuore dirlo, ma è così che andrà.

di Luigi Anzalone