Il futuro di una coabitazione

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Sarà quello del rapporto con i Cinque Stelle il primo problema che Enrico Letta dovrà affrontare appena insediato alla segreteria del Pd. Ieri, annunciando l’accettazione della candidatura, l’ex presidente del Consiglio si è dato due settimane di tempo per ascoltare la voce dei circoli democratici in tutta Italia, poi “faremo insieme sintesi e troveremo le idee migliori per andare avanti, insieme”. Buoni propositi, in linea con il profilo politico del personaggio, che è moderato nei modi e nel linguaggio, non certo nelle idee e negli obiettivi che si pone, primo dei quali far uscire il partito dalla crisi in cui si dibatte. L’accoglienza favorevole di tutte le componenti, che oggi si richiamano più a personalità e ambizioni individuali che a contenuti politico-culturali in contrasto, non deve trarre in inganno: nel partito è stata siglata una tregua per evitare di cadere nel baratro aperto sulle clamorose dimissioni di Zingaretti, con tanto di denuncia della degenerazione in atto. Ma la tregua, favorita anche dalla presenza di un governo neutrale rispetto al confronto politico, non durerà a lungo, e presto lascerà il campo alla ripresa di una dialettica che va oltre le stanze del Nazareno. Una volta recuperato lo spirito di corpo e riacquistata la fiducia in sé stessi, il primo nodo da sciogliere per i democratici sarà appunto quello del rapporto con il movimento grillino, finora alleato in una coabitazione forzata nella maggioranza che sostiene Mario Draghi, ma presto in competizione per l’egemonia nel fronte progressista, quando l’emergenza pandemica sarà finita e comunque non oltre la scadenza dell’elezione del successore di Mattarella al Quirinale, fra meno di un anno.

Favorendo l’ingresso di due esponenti grilline nella giunta regionale del Lazio, Nicola Zingaretti ha indicato una strada, ma non è detto che tutto il partito, e lo stesso neosegretario, sia disposto a seguirla acriticamente. Colpisce l’assenza di dibattito prima di una svolta che avrebbe bisogno di motivazioni approfondite. Il progetto di Zingaretti, di cui la vicenda laziale è figlia, prevedeva la costruzione di un’alleanza fra pari, con una figura – Giuseppe Conte – super partes in veste di federatore. Già questa ipotesi risultava indigesta a molti piddini, custodi della propria storia e gelosi della propria autonomia; ma potrebbe rivelarsi improponibile ora che Conte ha scelto di diventare il capo politico dei Cinque Stelle, in stretto accordo con Beppe Grillo che non ha mai dissimulato progetti di annessione del Pd e del suo elettorato, con intenti e metodi provocatori come quelli usati subito dopo le dimissioni di Zingaretti. Per non farsi colonizzare da un comico e dai suoi seguaci e per recuperare i consensi in declino, il Pd di Enrico Letta dovrebbe riscoprire un’anima, una visione, una linea strategica; e per far ciò dovrebbe distinguersi dall’alleato di oggi, che sicuramente sul piano tattico si muove con invidiabile spregiudicatezza, come dimostra la giravolta di alleanze degli scorsi mesi. Occasioni non mancheranno, a cominciare dal turno di elezioni amministrative di autunno, con in palio i Comuni di Milano, Torino, Bologna e soprattutto Roma, dove la ricandidatura dell’uscente Virginia Raggi può essere una pietra d’inciampo proprio per i fautori dell’accordo Pd-Cinque Stelle.

di Guido Bossa