Il lavoro e le capacità di sfida 

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L’interessante e recente dibattito sulla crescita del lavoro e la necessaria lettura in chiaroscuro dei relativi dati Istat ha occupato il primo piano dei canali di comunicazione della scorsa settimana. La centralità del lavoro è un problema di grande rilevanza non solo in Italia, ma interpella non pochi paesi, ultimo la Francia ove il banco di prova politico attende Macron, con scelte che coinvolgono gli emergenti fattori di sviluppo e i connessi aspetti di inclusione sociale. Il confronto italiano sulla complessa materia coinvolge necessariamente Padovan che sottolinea la presenza – nell’attuale contesto di crescita nostrano – anche di una componente strutturale e, al contrario, coloro che individuano nell’occasione congiunturale la genesi della crescita dei posti di lavoro.

Nel contempo si rivela seria e concreta la valutazione di Gentiloni: “ripresa del lavoro scandalosamente insufficiente se parliamo dei dati del Sud”. Dati davvero preoccupanti se confrontati con quelli del nord – posti di lavoro più 152 mila nel periodo 2008/2017 – mentre il sud, nello stesso periodo, si registra un calo di ben 389 mila posti di lavoro.

I più accorti osservatori parlano di una lettura in chiaroscuro della realtà italiana e sottolineano la complessità di fattori che influenzano il dato di crescita dei posti di lavoro o, al contrario, quella di decrescita. Per esempio c’è chi avanza dubbi che il robot ruba lavoro ai giovani. È proprio la domanda se la tecnologia sostituisce il lavoro che costituisce il nucleo tematico del prossimo 50° incontro nazionale di studi delle Acli nazionali – Napoli 14-16 settembre 2017, presso la Stazione Marittima – di cui abbiamo dato solo qualche breve ragguaglio nella riflessione della settimana scorsa.

In realtà nel mondo del lavoro attuale si delineano due diversi cambiamenti: uno rivolto al consumo (gig economy), l’altro alla produzione (industry 4.0). Ai due aspetti sono collegati non solo due diverse figure professionali, ma si strutturano anche diverse modalità di lavoro, l’una legata alla volubilità del mercato, l’altra portatrice di trasformazione nei processi organizzativi del livello produttivo e quindi del lavoro.

L’aspetto che introduce più esigenze di flessibilità interna nei cicli produttivi delle aziende è costituito certamente dall’industry 4.0 con le conseguenti flessibilità occupazionali nelle strutture organizzative delle aziende stesse. Frattanto in Italia, nella ricerca dei necessari equilibri tra autonomia e controllo nei processi produttivi, è stato lanciato un Piano nazionale lungo due direttrici: il digital innovation hub, che punta a creare rete territoriali in aree specifiche a partire dal tessuto economico locale sostenuto dalla digitalizzazione e il competence center che mira a sviluppare competenze e promuovere formazione sulle tecnologie innovative e a stimolare la sperimentazione e l’ideazione progettuale.

A fronte di questi due percorsi innovativi emergono alcune preoccupazioni, la più consistente riguarda la eterogeneità di contesti socioeconomici del Paese – divario nord-sud – con le conseguenze sulle reali possibilità delle singole aree, dei distretti industriali, delle piccole e medie imprese di raccogliere una concreta sfida al cambiamento. Di questa diversa realtà socioeconomica si è fatto interprete l’attuale ministro della Coesione territoriale Claudio De Vincenti che, sul Mezzogiorno, ha annunciato proprio ieri a Pescara: “entro i primi di ottobre via libera al decreto per le zone economiche speciali (Zes). Abbiamo le proposte della Calabria, per Gioia Tauro e della Campania, per il sistema portuale di Pozzuoli, Salerno e Interporto di Nola”. Con questi scenari innovativi dovranno fare i conti tutti i percorsi progettuali innovativi che creano concreta occupazione anche nella nostra provincia. L’impegno della classe dirigente locale si misurerà sulla auspicata capacità di saper cogliere queste sfide.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud