Il M5S al momento della verità

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Per il M5S è arrivato il momento della verità. La “questione romana” rappresenta un test determinante per valutare se è idoneo a governare una città importante come Roma (premessa fondamentale per candidarsi al governo del Paese), o e se è un bluff come la canea dei partiti, e dei media che li fiancheggiano, lasciano credere, passando al microscopio ogni pagliuzza dei loro occhi, ignorando la trave che hanno nei loro e sottovalutando che la politica, in generale, ed i partiti non possono trarre la loro palingenesi dalla disfatta del M5S. Con il loro comportamento contribuiscono, invece, all’ulteriore scadimento della cosa pubblica rendendo irreversibile la sfiducia dei cittadini e aprendo cupi scenari nel futuro della democrazia nel nostro Paese. Renzi ha poco da gioire dall’eventuale sfascio dei grillini, dallo spappolamento della destra e dall’inconsistenza della sinistra. Se la politica continua a proporsi “contro” e non “per” si scava la fossa da sola. E la riforma costituzionale va, purtroppo, in quella direzione. I penta stellati, si trovano a decidere del loro futuro in un brevissimo lasso di tempo e in solitudine, come il giovane torero Miguel del bel film di F. Rosi che, all’apice del successo e della ricchezza, si trova a tu per tu con il toro, in un duello mortale dall’esito del quale uno dei due dovrà soccombere. E’ augurabile, per il bene dell’Italia e della democrazia, pur non condividendo quasi nulla del M5S, che la lezione di Roma gli sia da ammaestramento e che si accinga a strutturarsi come un partito politico nuovo e con regole e comportamenti diversi dai partiti tradizionali, se vuole aspirare a guidare il Paese. La formazione del Direttorio nazionale (Di Maio, Di Battista, Fico, Ruocco e Sibilia), a nostro giudizio avrebbe dovuto avere lo scopo di traghettare il movimento in un vero partito politico, abbandonando il velleitarismo della rete, il giansenismo della purezza dei comportamenti, l’astrattezza delle regole impossibili da mantenere, l’intolleranza della discussione interna, la dipendenza esterna da Casaleggio figlio che, a differenza del padre, non ha la statura del leader e di un Grillo arruffapopolo. Dovrebbe selezionare meglio la nuova classe dirigente che, forse, ha bisogno di maggior tempo ed esperienza e di rinforzi esterni di uomini di cultura e di capacità manageriali. L’ingenuità della Raggi e del suo entourage, dovuta alla mai esercitata gestione del potere, i tanti errori di comunicazione, la “sorveglianza” dei direttori provinciali (Taverna, Castaldo. Lombardi, Perilli) hanno, di fatto, frenato l’azione della Giunta e limitato l’autonomia e lesa la figura della Sindaca. Al marchiano errore dell’affiancamento dei direttori (che hanno imposto, parte della Giunta e si sono opposti, anche pubblicamente, su alcuni collaboratori e assessori (Marra, espressione di Alemanno, De Dominicis dello studio Sammarco, difensore di Previti), se ne sono aggiunti altri che hanno dato fiato a coloro che hanno ridotto Roma nell’attuale stato comatoso, corrotto e sporco, capace di far tremare le vene e i polsi anche a politici di ben più antico corso. Il rifiuto delle Olimpiadi ha fatto il resto e tutti sono piombati addosso all’indifesa Raggi come cani randagi. Secondo errore, stavolta della Raggi, è stata la chiamata diretta della Muraro con uno stipendio di 193.000 euro (quando non avrebbe potuto superare i 130.000), giudicato illegittimo dall’onnipresente Cantone “garante dell’Italia”, su richiesta della stessa Sindaca, che ha scatenato l’ondata di dimissioni, dalle quali, errore dopo errore, non riesce a venirne fuori. Quella, poi, dell’iscrizione nel registro degli indagati che, ipso facto, deve portare alle dimissioni è una regola assurda che mette la politica alla mercé della magistratura e di denunce anche strumentali Dimissioni solo in caso di rinvio a giudizio e molta più fiducia ai sindaci, come Pizzarotti ed altri, che sono alle prese con i problemi locali per la soluzione dei quali le regole astratte e i codici di comportamento valgono poco. La Sindaca si riappropri della sua autonomia, ascolti i cittadini, parli con tutti, ma decida da sola. Il Direttorio capisca che non può considerala una marionetta nelle sue mani, le dia il tempo di fare un minimo di esperienza e la possibilità di decidere. Infine il M5S cominci a dire cosa vuol fare dell’Italia, se va al governo; spieghi il suo progetto politico se ce l’ha, perché l’onestà è solo una pre condizione: occorre ben altro. La politica, in Italia, ha bisogno ancora di un centro destra moderno e liberale, di partiti rigenerati e di una sinistra che torni a fare la sinistra, e di un Premier che parli agli italiani il linguaggio della verità. Non si può dare la croce a Raggi per qualche ingenua bugia e lasciare che Renzi ne dica agli italiani una al giorno.
edito dal Quotidiano del Sud