Ieri sera per le vie della città, come nei paesi, è sfilata la Processione con le statue del Cristo Morto e della Madre Addolorata a raccogliere i drammi delle case e delle famiglie, dei singoli e dei gruppi, della Chiesa e del mondo. Dopo due anni di “fede segregata e bendata”, la Processione, pur tra mille paure e misure di sicurezza, ha riportato, in forma ufficiale, i credenti tra le strade con un atto pubblico di fede. Un plauso al Corpo dei Vigili del Fuoco e ai rappresentanti della Misericordia per aver accettato di portare a spalla le statue come segno di riconoscenza per lo scampato pericolo Covid. Ogni gesto liturgico della Chiesa, sempre in cammino, non si estranea dalla storia, ma ne porta i sussurri e le grida, le ansie e le angosce, le preoccupazioni e le apprensioni. Il dramma del popolo ucraino, invaso e con un numero immenso di vittime e di distruzioni, di profughi e di piaghe aperte e sanguinanti, è stato ed è all’attenzione del Triduo Pasquale che stiamo celebrando. Ai “Crucifigge!” gridati a squarciagola sotto il palazzo di Ponzio Pilato si sono uniti i drammi e le lacrime di uomini e donne indifesi e ingiustamente condannati, e alle tenebre fitte che accompagnarono la morte del Redentore (“Si fece buio su tutta la terra”) fa eco dolorosa il buio che è sceso sull’umanità risvegliata da una barbarie che sembrava relegata nei libri di storia. Torna l’uomo contro l’uomo che dice al fratello, come Caino: “Andiamo nei campi!”. Ognuno sa che non si tratta di un invito per una uscita fuori porta, di una scampagnata, ma di una imboscata per versare il suo sangue ed escluderlo dal consesso dei viventi. Il testo di Genesi cui mi riferisco, nella lingua originale, non contiene l’invito ad uscire, ma è monco: “Caino disse ad Abele…” senza riportare l’invito, al traduttore è toccato il compito di aggiungere “Andiamo nei campi” (cui fa riferimento Quasimodo in una sua poesia quanto mai attuale!) per riempire un vuoto altrimenti incomprensibile e trovare parole a colmare un’abrasione. L’originale ebraico senza parole vuole dirci che quando smettiamo di parlarci, quando anche le Sedi Istituzionali del dialogo internazionale sono affollate di sordi, allora partono i carri armati e i missili terra-aria. La violenza inizia quando non ci sono più parole da dirci, quando tacciono le voci del dialogo esplodono i detonatori della furia umana. Su questo inquietante fondale si pone la Pasqua di quest’anno che vede non solo “uomini contro”, ma cristiani sull’uno e l’altro schieramento, con benedizioni sull’uno e l’altro esercito da parte dei rispettivi Pastori. La Croce di Cristo è innalzata sugli ospedali distrutti, sulle tante vittime civili e militari, sulle fosse comuni che tornano a inquietarci perché quando viene meno la “pietas” virgiliana allora l’uomo può essere capace dei più efferati crimini. Dall’alto della Croce, Gesù vide anche questa nostra Pasqua 2022, soffrì assorbendo, come spugna, le violenze di tutti gli uomini di tutti i tempi, ebbe uno sguardo di compassione per gli uomini e le donne di oggi che, non ancora ripresi dal trauma della pandemia, vedono impotenti una guerra che farà sentire il suo strascico fino a noi, speriamo, solo di tipo economico. Gesù dalla Croce ha ancora parole per il “Buon Ladrone”, per sua Madre, per il Discepolo amato, per i suoi persecutori, per il Padre che sente lontano. Raccogliamo la sua lezione che ci attesta il valore delle parole e del parlarsi anche in punto di morte e chiediamo che i tavoli di trattativa tornino ad essere frequentati non da controfigure, ma da chi questa guerra l’ha voluta e progettata mandando a morire tanti giovani desiderosi di vita e di futuro. È la grazia che chiediamo in un coro di credenti e non, dove le appartenenze e le bandiere si ammainano quando c’è da salvare l’uomo. “Ecco l’uomo!” disse Pilato presentando Gesù flagellato alla folla, era un uomo sfigurato e violentato nella sua dignità come tanti che i mezzi della comunicazione ci presentano avviliti, feriti, derubati, uccisi, umiliati. Il Risorto si presenterà, nell’Alleluia della Pasqua, ai discepoli impauriti con un saluto che lo contraddistinguerà d’ora in poi: “Pace a voi!”. Mai come ora siamo affamati e assetati di pace e attendiamo fiduciosi che il Suo divenga anche il nostro saluto e augurio.
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