Il Mezzogiorno e i mutamenti politici

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Ciclicamente si apre un dibattito sul futuro del Sud. Il passato c’è ed è una mirabile sintesi di storia, cultura e tradizioni. Un coacervo di tante identità che non riescono mai a fare squadra. Politicamente il Mezzogiorno è passato nell’ultima fase dal berlusconismo, al centrosinistra (tutti i presidenti delle regioni meridionali tranne la Sicilia sono del PD), ai cinque stelle che hanno trionfato alle ultime elezioni politiche. I grillini hanno praticamente fatto il pieno nei collegi uninominali. Merito della promessa del reddito di cittadinanza e della voglia di cambiamento che ha spinto le regioni del Sud a votare in massa per i cinque stelle. E del resto i numeri parlano chiaro. Rispetto al 2013 i grillini hanno raccolto nelle sei regioni del Sud 1.847.500 voti in più. Contemporaneamente è cresciuto anche l’alleato di governo, quel movimento leghista che Salvini vuole ad impronta nazionale. Ed infatti alla Camera la Lega ha guadagnato nel Mezzogiorno 458 mila voti in cinque anni pari a circa il 5 per cento. Nonostante questo però il faticoso compromesso sul contratto di governo non ha lasciato molto spazio ai temi del Mezzogiorno e molte questioni cruciali si stanno snodando solo in questi giorni dividendo e creando tensioni tra i due partiti di governo. Lo scontro c’è ad esempio sulla Tap, acronimo di Trans Adriatic Pipeline. E’ la fase terminale di un gasdotto lungo 870 chilometri che porterà ogni anno dieci miliardi di metri cubi di gas azero in Europa centrale per cinquanta anni. La scelta di collocare l’opera su una delle più spiagge del Salento ha però fatto insorgere la popolazione, l’amministrazione locale e regionale e soprattutto i cinque stelle. Già in campagna elettorale Di Battista si era dichiarato contro e adesso il ministro per il Sud Barbara Lezzi contraria all’opera che ha tirato fuori il vecchio concetto del “benaltrismo”, al Sud servono grandi infrastrutture più che la Tap. Per Salvini però queste opere vanno fatte e il gasdotto è necessario. Ma sempre in Puglia c’è in gioco il futuro di una città come Taranto sospesa tra il dramma dell’inquinamento dell’Ilva e il lavoro che arriva dall’acciaieria più grande d’ Europa. La cordata che rilevato questo colosso guidata dall’indiana Arcelor-Mittal ha messo sul tavolo un pacchetto di quasi cinque miliardi senza però sciogliere il dilemma che tutta Taranto si trascina da tempo: il diritto alla vita contro il diritto al lavoro. Il lavoro è proprio quello che manca in tutto il Mezzogiorno come sottolinea l’ultimo rapporto dello Svimez che oltre a segnalare una crescita della disoccupazione mette in evidenza un dato allarmante, il mezzogiorno si sta spopolando. Quasi due milioni di persone negli ultimi 16 anni hanno fatto le valigie per cercare occupazione altrove. La metà sono giovani tra i 15 e i 34 anni. Una situazione dunque drammatica e che parte da lontano. Il Sud è insomma una terra dall’eterno presente con un grande passato alle spalle e un futuro ricco di incognite. Questo governo è in campagna elettorale permanente e il protagonismo di Salvini non aiuta. I Cinque Stelle sembrano più preoccupati di arginare il leader leghista che di governare. E’ una gara come ha scritto Salvatore Merlo sul Foglio che “investe più il campo della rappresentazione che quello della rappresentanza, al fondo di una competizione per il consenso che per ora premia più di Salvini e relega Di Maio al ruolo di inseguitore. Il leader della Lega tende sempre ad emanciparsi dalla vecchia constituency di imprenditori, partite Iva, capannoni e padroncini che fecero la fortuna di Bossi e Maroni, perché il suo orizzonte più vasto contempla anche il sud e un atteggiamento competitivo nei confronti del populismo grillino”.

 

Andrea Covotta