Il mundial ‘82 e i Lupi in serie A 

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Al gol di “spillo” Altobelli sullo schermo TV appare lo striscione Avellino Club Salerno. E’ l’undici luglio di 35 anni fa. L’Italia sta ormai vincendo il suo terzo mondiale battendo in finale la Germania. Quella rete e quell’immagine legano in modo indissolubile l’Avellino e la nazionale azzurra. La piccola Irpinia e il mondo, visto che quella partita la stanno vedendo in tutto il globo. E le analogie non finiscono. Quel mondiale con la maglia del Perù lo gioca anche Geronimo Barbadillo. Ad Avellino arriverà a fine estate.
Ha un compito arduo deve sostituire nel cuore dei tifosi avellinesi il piccolo grande Juary appena ceduto all’Inter. Si presenta con un look che non passa inosservato. Gambe arcuate quasi da cow-boy e una capigliatura foltissima da cantante rock anni settanta. Diventa ben presto un idolo e lo è ancora per tanti ex ragazzi che oggi hanno i capelli bianchi. L’allenatore è Fernando Veneranda, scomparso purtroppo nel 2007. Assomiglia per carattere ad Enzo Bearzot. Il “vecio” che con poche parole e molti fatti ha condotto l’Italia alla vittoria mundial. Anche Veneranda è uomo di silenzi. Non ha mai allenato in serie A e Sibilia gli offre la grande chance. Costruisce una squadra pratica che vive del talento di Vignola e degli spunti offensivi di Barbadillo mentre dietro fanno buona guardia Favero e Di Somma. Tra i pali c’è un portiere che farà parlare di sé: Stefano Tacconi. Sostituirà alla Juve Dino Zoff, che quell’undici luglio alza al cielo la Coppa del Mondo come capitano della nazionale. L’Italia non è partita bene. Nelle prime tre partite, tre pareggi. Si qualifica comunque alla fase finale e comincia a dare spettacolo. Primo ostacolo l’Argentina di Maradona. Vittoria e il match successivo è con il Brasile di Zico e Falcao. Ci pensa Paolo Rossi. La sua tripletta è ormai leggendaria e suoi sono anche i due gol che in semifinale fanno fuori la Polonia. Ci aspetta in finale la Germania allora Ovest visto che il “muro” era ancora in piedi. Gli abitanti di Berlino Est quel “muro” lo hanno guardato per quasi trent’anni con il sogno di scavalcarlo. Fuori da quel muro immaginavano la libertà. L’urlo di Tardelli, è l’immagine chiave di quella partita e di quel mondiale. E’ il simbolo di cosa significa impazzire di gioia per chi si libera da una opprimente dittatura e per chi scende in piazza per festeggiare una vittoria calcistica. Gli anni ottanta si chiudono con il crollo del regime comunista e con la riunificazione della Germania. Quella magica notte di 35 anni fa i tedeschi perdono nettamente. In tribuna a festeggiare c’è un’incontenibile Sandro Pertini. Il Presidente della Repubblica ha vinto anche questa partita nella sua affascinante e lunghissima vita: partigiano, politico socialista, Capo dello Stato. In campo il miracolo lo ha compiuto Bearzot e una formazione che ha raggiunto un equilibrio tecnico-tattico perfetto. Zoff in porta. Una difesa fortissima guidata da un galantuomo e da un maestro come Scirea con tre “mastini”: Gentile, Bergomi e Collovati. Cabrini spinge sulla fascia sinistra, Oriali e Tardelli sono il prototipo dei centrocampisti moderni e il folletto Bruno Conti è libero di svariare e servire i due attaccanti Rossi e Graziani. A quest’ultimo subentrerà, durante la finale, Altobelli. Ma quel Mundial di Spagna ’82 non è stato solo calcio, ma un percorso di storia e di vita. Come nei momenti tragici e belli della nostra vita. Ognuno di noi si ricorda esattamente cosa faceva quel lontano undici luglio. Il calcio è spesso padrone di sentimenti scaraventati, come cantava allora Franco Battiato, in un centro di gravità permanente che la nostra memoria non intende cancellare.

edito dal Quotidiano del Sud

di Andrea Covotta