Corriere dell'Irpinia

Il Pd, il sindaco e la città 

Non mi oriento più in questa Avellino senza identità. Così è ridotta soprattutto per responsabilità di un partito, il Pd, che non è riuscito a tessere un rapporto fecondo tra la sua modesta classe dirigente e un ancora più modesto consiglio comunale. Se si va al racconto dei fatti realizzati dal governo guidato da Foti il bilancio è fallimentare. Il Pd non è stato in grado di contribuire a dare sostegno al sindaco nella coesione del governo cittadino. Prova sono i continui rimpasti, tutti avvenuti al ribasso e solo per evitare lo scioglimento del Consiglio. A fare bene i conti il costante cambio degli assessori, talvolta imposti dai vertici del partito contro quella che doveva essere l’autonomia del sindaco, non ha consentito un costante lavoro capace di produrre risultati. Chi si ricorda più dell’impegno di Caterina Barra? O di Paolo Ricci? E ancora: Annamaria Manzo, Roberto Vanacore, Guido D’Avanzo, ecc? L’elenco è davvero lungo. Ogni volta con il cambio di un assessorato si è cominciato daccapo e, neanche il tempo per capire i problemi, ecco che nuove dimissioni scompaginavano la squadra. E’ vero. Qualche assessore è rimasto sempre al suo posto. Ma è proprio qui la radice del male: il governo dei lavori pubblici. E il Pd, il direttorio, i circoli? Assenti. Sarebbe stato sufficiente ricreare le condizioni di un tempo quando tra partito di maggioranza e comunità amministrata si poteva contare sulla figura di un segretario cittadino. Il suo ruolo era di fare filtro dei problemi e sintesi delle proposte. Il Pd non lo ha voluto, perchè l’autonomia di questa figura poteva disturbare i manovratori. Anche di questo si dovrebbe occupare (o meglio capire) il neo commissario Ermini, inviato da Renzi per controllare il tesseramento che dovrà portare al congresso.

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 Se queste sono le responsabilità del Pd, quelle del sindaco Paolo Foti non sono di meno. Preciso. Paolo è una persona perbene, figlio della politica e da essa gratificato. E, a parte le sue qualità professionali, proprio per questo è diventato sindaco di Avellino.
Egli raccoglieva un’eredità difficile, ma anche una città cantiere che aveva necessità di portare a compimento le tante opere avviate dai suoi predecessori, Di Nunno e Galasso. Di certo non è stato aiutato dal suo partito, nè da un apparato burocratico che si è rivelato essere il vero cancro per risolvere i problemi. Ha pure tentato qualche operazione di cambiamento, ma subito è stato messo a tacere dai padrini che dominano le vicende comunali. Così egli, Paolo Foti, è diventato da subito una specie di sindaco ombra, con il pensiero oscillante tra il desiderio di interrompere questa sua esperienza e quella di continuare per dare risposta ai problemi. Su di lui (fantasma) è piovuto di tutto: mancanza di coraggio nell’affrontare i problemi dei parcheggi cittadini; i limiti nel qualificare un governo con personalità autonome, ma competenti; essere, inoltre, prigioniero delle correnti del suo partito; aver ceduto fette di potere in una logica di mini partito personale guidato dal presidente del consiglio comunale, insieme a tante altre vicende che hanno dimostrato una sua grande debolezza. Capita anche alle persone generose di trovarsi invischiate in situazioni che non sempre si riescono a governare. Questo da un lato. Dall’altro uno spessore di sospetto sui rapporti nella gestione della cosa pubblica. Fondati o meno, ha poco rilevanza. Certo è che le storie personali e i conseguenti comportamenti dovrebbero essere coerenti nel modo di agire. E qui forse è bene fare chiarezza su quello che è stato denunciato come conflitto di interessi tra il parlamentare, costruttore, imprenditore in diversi settori Angelo D’Agostino e il sindaco Foti. Come già ho avuto modo di scrivere in altra occasione tra i due autorevoli personaggi, D’Agostino e Foti, c’è un veccio rapporto. Il primo era stato presidente dell’Associazione costruttori quando il secondo ne era direttore. Senza demonizzare, o alimentare la cultura del sospetto, io credo che Foti non sia stato aiutato da D’Agostino. Questi, a mio avviso, per etica comportamentale, avrebbe dovuto rinunciare all’appalto del tunnel per il completamento del quale sono state necessarie varianti che hanno fatto crescere il costo dell’opera.

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 C’è di più. Da qualche tempo, in vista delle elezioni amministrative del capoluogo, è in atto una composizione di interessi politici che nasce dall’eredità dell’ex presidente del Senato, Nicola Mancino. Ciò a dire: quelli che un tempo erano ritenuti fedeli al presidente, oggi sono nella corte del sottosegretario alle infrastrutture, il sannita Umberto De Caro. Solo per fare dei nomi: Livio Petitto, Enza Ambrosone, ecc. Questa composizione si avvale anche del gruppo che dette vita al cosiddetto movimento dei 360, guidato dal presidente dell’Alto Calore, Lello De Stefano, già lettiano, diventato renziano. Come De Caro. Guarda caso: fu proprio De Stefano a spingere l’ex senatore De Luca a sponsorizzare Foti come sindaco della città. Altri tempi, è vero. Allora De Stefano e De Luca tessevano insieme le strategie. Poi è accaduto che alle elezioni regionali sia De Stefano che Foti si sono dimostrati tiepidi con la raccolta dei consensi per De Luca. Di qui l‘odierno scontro aperto. Tanto che per le elezioni politiche si profilano le candidature di De Caro (Ariano- Benevento), D’Agostino (Avellino) e come quota rosa Rosanna Repole o Caterina Lengua. Di contro, sempre per stare al Pd, si profila la candidatura di Rosetta D’Amelio (Alta Irpinia) e l’ex senatore Vincenzo De Luca (Avellino). Scenario possibile se si dovesse andare al voto con l’attuale legge elettorale. E sempre che Davide Ermini non ha già stretto il patto con Renzi per essere capolista ad Avellino. E Famiglietti che è nel cuore di Renzi? E Santaniello sponsorizzata da De Luca governatore? Si vedrà. Lo scontro politico avrà le sue conseguenze sulla città dove le candidature a sindaco viaggiano ancora ben coperte. Anche se alcuni nomi sono sulla bocca di tutti: Cipriano, Ambrosone, Pennetta, Sorvino, ecc. Ma anche qui si dovrà capire quali saranno le alleanze in campo.

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E vengo alla città. Con le premesse sin qui fatte, il bilancio non poteva che non essere fallimentare. E’ probabile che in questi mesi, che portano alle elezioni, qualcosa cambierà. Ma, credo, in verità non molto. Diamo uno sguardo sulla città balcanizzata. La Bonatti, in realtà, continua a rimanere chiusa e ci vorrà del tempo per completare i lavori. La Dogana, oggi intubata a piazza Amendola, naviga tra le mille incertezze sul ruolo futuro. Per il Mercatone di via due Principati è stato annunciato un project financing, ma si deve fare chiarezza sul bando di gara. I parcheggi continuano ad essere gestiti nella confusione più totale, tra minacce e rivendicazioni dei parcheggiatori storici. Piazza Castello e i lavori per i ruderi sono in totale abbandono. Per i quartieri della città, Valle, San Tommaso, Picarelli, Quattrograna, Borgo Ferrovia, è probabile che la spruzzatina di fondi previsti servirà al mercato dei voti e non alla loro rinascita. E poi c’è il Teatro “Carlo Gesualdo”. Su questo è bene che il silenzio copra la vergogna. Per il resto, mi taccio. Che fare? Il vescovo Arturo Aiello è la sola novità che rincuora. Una grande speranza. In questa desolante cornice può dare un contributo a farmi orientare. Almeno lo spero.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud

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