Il pd in cerca di risposte

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“Ma insomma, cavaliere, mi spieghi un po’ cosa è veramente essere senatori…un semplice appellativo onorifico? Una specie di decorazione o bisogna svolgere funzioni legislative, deliberative?”. La domanda è del principe di Salina protagonista del celeberrimo romanzo “Il Gattopardo” ed è rivolta all’inviato del Re di Piemonte che ha appena annesso la Sicilia all’Italia e vorrebbe gratificare il Principe Salina del titolo di senatore del Regno d’Italia. Don Fabrizio non accetterà l’offerta ma la domanda sul Senato è di stringente attualità. Tra pochi giorni con il referendum gli elettori dovranno scegliere se diminuire o lasciare inalterato il numero dei nostri parlamentari, ma nessuno discute su quale funzione oggi devono svolgere. Negli ultimi anni il loro ruolo è fortemente cambiato. Troppo forte il governo e troppo debole il Parlamento. Troppi i ricorsi ai voti di fiducia che inevitabilmente strozzano il dibattito nelle due camere e troppi i decreti dell’esecutivo. Un metodo che non è di questa legislatura. Il 28 luglio del 2008, solo per citare un esempio, l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano richiamò l’attenzione sull’eccessivo ricorso da parte del governo a procedimenti che forzano o ignorano il Parlamento e contemporaneamente sull’importanza di instaurare “un rapporto equilibrato con le due Camere”. Napolitano fece anche appello al “senso della misura” degli esponenti politici per evitare di scadere nella volgarità e nelle ingiurie che hanno come oggetto “le istituzioni e i simboli della Repubblica”. Il paese – disse Napolitano – non ha alternative alle riforme, l’alternati – va è il nulla. Dichiarazioni che a distanza di dodici anni sono purtroppo ancora attuali. Le riforme soprattutto quelle elettorali si sono susseguite e adesso si pensa di cambiare l’attuale sistema di voto. Insomma si legifera senza avere una prospettiva ma solo per un piccolo presente. E allo stesso modo non è mai decollato un vero dibattito sulle riforme costituzionali. Quella ideata dal governo di Matteo Renzi è stata bocciata dagli elettori ma più che sui contenuti ha prevalso il giudizio personale che si è scaricato negativamente sull’allora Presidente del Consiglio. Il dibattito politico sul referendum sul taglio dei parlamentari sta producendo identici risultati. Il leghista Claudio Borghi, uno dei consiglieri più ascoltati da Salvini, sostiene che se vince il NO si archivierebbe l’era dei Cinque Stelle e con una sconfitta del PD alle regionali il governo potrebbe cadere. Dunque una motivazione che non tocca il merito del quesito ma le sue eventuali conseguenze. E’ chiaro che al contrario una eventuale vittoria del SI’ avrà l’ef – fetto di una sorta di polizza a vita per il governo che potrà contare sull’istinto di sopravvivenza dell’attuale Parlamento visto che per moltissimi sarà un miraggio ritornare a fare i parlamentari. Il partito che come quasi sempre è alla ricerca di risposte è il PD che il prossimo 7 settembre terrà la sua direzione per prendere una decisione sulla questione. Come ha scritto Alessandro De Angelis sull’Huffington Post “sul referendum costituzionale è iniziato il vero congresso del Pd – in quei fautori del no che scoprono adesso la centralità del Parlamento ma che, al momento del voto, non lasciarono agli atti una crisi di coscienza in materia. In fondo è l’esito scontato della logica di questi mesi, in cui in nome dell’emergenza democratica – quando c’era da fermare Salvini coi suoi pieni poteri – si è ingurgitato di tutto pur di fare il governo e poi – in nome dell’emergenza virale da contrastare – nessuno ha battuto ciglio di fronte a un paese chiuso in casa attraverso dpcm, senza passare dal Parlamento. Se il contagio populista, in materia di Carta fondamentale, è proprio l’atto costitutivo del governo, è complicato cercare un’alterità in un’opposizione che nuota nella stessa acqua”.

di Andrea Covotta