Il pifferaio tra ruspe e selfie

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Dopo un anno di governo vissuto dagli alleati come sulle montagne russe a cambiare non sono solo i numeri di Lega e Cinque Stelle ma un presente e soprattutto un futuro molto incerto. L’esperimento se non è fallito certamente non è decollato e si vedrà nei prossimi giorni se la legislatura avrà una vita medio-lunga.
L’uomo che adesso ha l’Italia in pugno è Matteo Salvini e non Luigi Di Maio. Ed è al leader della Lega che si è rivolto il premier Conte nel tentativo di aprire una fase meno rissosa all’interno dell’esecutivo. E’ a Salvini che il Presidente del Consiglio chiede di abbandonare i toni da campagna elettorale e gettare le basi insieme per scrivere una legge di bilancio che non sia ostile alla commissione europea. Conte ha dovuto prendere l’iniziativa sostituendosi nei fatti a Di Maio perché i Cinque Stelle sono ancora nel mezzo della bufera post voto delle europee. Ancora non si sono spente e chissà se si spegneranno le polemiche furibonde scatenate in campagna elettorale. Rispetto ad un anno fa quando si insediò il governo Conte e nacque quella che in molti definiscono la Terza Repubblica il nuovo potere è adesso meno timoroso e più arrogante. I ministri hanno invaso i salotti televisivi dove, esattamente come accadeva prima, la propaganda e gli annunci hanno preso il posto dei fatti. Pochi i ragionamenti molte le frasi fatte. Uomini e donne che sono entrate velocemente nelle stanze del potere ma dopo un anno si vive ancora in una sorta di sospensione perché l’amalgama tra i leader Salvini e Di Maio e tra due forze molto diverse non è scattato. I Cinque Stelle che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno sembrano oggi a loro agio nella parte di chi quel potere lo ha conquistato. L’importante è esserci. L’idea come ha scritto Alessandro De Angelis è di quelli che si sono presentati davanti al Palazzo d’Inverno per abbatterlo ed invece hanno scoperto quanto è confortevole il salotto. Il partito del vaffa e dell’uno vale uno è ormai un’altra cosa. Di Maio si è fatto reinvestire dal voto online degli iscritti ma adesso ha il compito di dire cosa vuole fare e con chi, non può limitarsi a sopravvivere a se stesso o a continuare a duellare con l’altro vicepremier che nel frattempo cresce nei consensi proprio a danno dei Cinque Stelle. La Lega è passata in cinque anni dal 6,2 per cento al 34,3. Da cinque milioni e 698mila voti del 4 marzo 2018 ai nove milioni e 149mila voti del 26 maggio 2019. Caduti i grandi partiti ideologici e la Prima Repubblica dove gli scostamenti erano minimi il fenomeno non è nuovo negli ultimi anni. Già nel recente passato l’Italia si era innamorata politicamente di Berlusconi, Renzi e Grillo. Ora un pezzo consistente del Paese ha trovato un nuovo pifferaio che si muove tra ruspe e selfie a colpi di tweet e dirette facebook. Parla solo lui senza contradditorio esattamente come chi lo ha preceduto dall’altra parte politica, cioè Matteo Renzi. Come ha notato però il direttore dell’Espresso Marco Damilano “il Matteo 2019, il capo della Lega, può contare su una rete di potere locale e su un’ideologia di riferimento terribile e semplice. Il crocifisso e il no ai migranti e all’Europa, la società senza tasse, la sicurezza, l’egoismo. Il cittadino che chiede più polizia ma non vuole pagare le tasse per finanziarla. Il liberi tutti della legittima difesa e della quota 100 per le pensioni. Un misto di individualismo e di autoritarismo”. Salvini punta a dare stabilità ad una vittoria che per lui non può essere episodica.

di Andrea Covotta