Corriere dell'Irpinia

Il quarto segreto di Fatima

 

L’evento di questa settimana è la rivelazione di un segreto gelosamente custodito per mesi nella testa dell’esecutivo: la data del referendum. Finalmente il segreto è stato tolto e la data di svelata: il referendum si farà il 4 dicembre; in pratica l’ultimo giorno possibile, oltre la legge non lo consentirebbe. Questa notevole dilatazione dei tempi ci segnala l’importanza della posta in gioco. Non si era mai vista nella storia d’Italia una campagna elettorale che durasse sette mesi. Infatti la campagna elettorale è iniziata subito dopo l’approvazione della riforma Renzi/Boschi da parte del Parlamento nello scorso mese di aprile e da allora è iniziato un bombardamento mediatico a reti unificate attraverso il quale Renzi, la Boschi e tutti gli altri ministri in coro hanno vantato le virtù immaginarie della riforma ed hanno profetizzato sciagure di ogni tipo in caso di rigetto. Alla fine abbiamo saputo che è stato deciso di allungare fino a dicembre la campagna elettorale per sfruttare al massimo le contingenze temporali. Tuttavia non possiamo non rilevare come durante l’estate vi sia stato un significativo cambiamento di toni nella comunicazione mediatica. Siamo partiti con il Presidente del Consiglio che nella sua riforma ci metteva la faccia e minacciava di dimettersi, di mandare tutti a casa, di sciogliere il Parlamento (anche se per Costituzione non spetta a lui) per consegnare l’Italia nel caos e nell’instabilità. Poi c’è stata una inversione ad U, il premier ha riconosciuto di aver fatto uno sbaglio a personalizzare il referendum, ha assicurato che non manderà a casa nessuno e che le elezioni si terranno regolarmente nel 2018 e qualche giorno fa ci ha assicurato che alla dimissioni non ci pensa proprio, comunque andranno le cose. Tuttavia questo nuovo atteggiamento non ha comportato un recupero di neutralità del Governo, né un raffreddamento del suo massiccio impegno mediatico per “vendere” la riforma al popolo italiano. In realtà la strategia è cambiata, perché legare le sorti del governo Renzi a quelle del referendum consentiva di far capitalizzare al fronte del No, il crescente malcontento popolare e la crescente sfiducia per il fallimento delle promesse di sviluppo di questo governo, certificate dall’Istat. L’argomento è stato abbandonato perché rischiava di diventare un autogol. Quest’estate è stata impostata una nuova strategia, il disagio economico-sociale è stato rovesciato, da handicap per un Governo, alle cui promesse miracolistiche non crede più nessuno, a strumento da maneggiare con cura per ottenere un consenso forzato, utilizzando sapientemente il bastone e la carota. Per questo il voto è stato fissato subito dopo il primo passaggio alla Camera dei Deputati della legge di stabilità. Gli eventuali bonus o benefici concessi o promessi a questa o quella categoria diventeranno l’esca per propiziare il voto per il Sì, con la minaccia di essere revocati in caso di crisi di governo. Nel frattempo si è fatto ricorso ad un’altra arma, il quesito del referendum. che Renzi ha sventolato orgogliosamente nel corso di una trasmissione televisiva. Ha scritto il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli: “I quesiti che saranno riportati sulla scheda elettorale e sottoposti al referendum costituzionale – “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi” della politica e altre piacevolezze – sono chiaramente, lo riconoscono tutti, una truffa, uno spot a favore del SI, in grado di compromettere l’autenticità del voto. I contenuti della legge sono infatti, come i pochi informati ben sanno, assai più gravi e certamente diversi. Configurano, per quanto riguarda “l’ordinamento della Repubblica”, una nuova costituzione basata, anche grazie alla nuova legge elettorale, sulla centralità del governo e del suo capo e sulla totale emarginazione del Parlamento. Siamo perciò di fronte a un condizionamento premeditato dell’esercizio della sovranità popolare nel quale consiste il referendum costituzionale. Il governo, infatti, ha dato alla sua legge di revisione il titolo accattivante riportato in quei quesiti al fine di trarre in inganno gli elettori chiamati a pronunciarsi sul referendum confermativo previsto dalla legge medesima.” Per fortuna – aggiungiamo noi – gli italiani sono diventati diffidenti e non si lasciano più influenzare dalla pubblicità ingannevole.

Exit mobile version