Il rebus del Governo che verrà

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Oggi, finalmente, a 75 giorni dalle elezioni, sapremo se il governo Di Maio Salvini vedrà la luce e chi lo presiederà. Al momento in cui scriviamo non c’è ancora l’accordo sul nome del futuro Presidente, anche se, a parer di logica, dovrebbe essere il leader del partito di maggioranza relativa e non una figura di secondo o terzo piano che dovrebbe rivestire la funzione di mero esecutore di un programma scritto da altri, e dipendere, per ogni decisione, dalla volontà dei due leader. E ciò sarebbe in palese contrasto con l’art. 95 della Costituzione. E questo non sarebbe l’unico vulnus alla Costituzione anche se, nella redazione delle numerose bozze, qualcosa è stata corretta all’ultimo momento, come il Comitato di conciliazione, ancora tutto da riscrivere. Rimane ancora il vincolo di mandato che si vuole introdurre modificando l’art. 67. E’ un ulteriore tentativo di far prevalere i partiti sul Parlamento modificando sostanzialmente il tipo di democrazia, che da parlamentare diventerebbe sempre più dei partiti. Con queste premesse il governo Salvini/ Di Maio, se si realizzerà, darà inizio alla terza Repubblica.

E veniamo al contratto che, come tutti gli accordi di governo, avrà più un valore di indirizzo politico che di impegni per cose concrete che dovranno essere verificate nell’azione del governo. Nella sostanza è un contratto che contiene alcune impostazioni tipiche della Lega, promesse in campagna elettorale e più propriamente di destra: la Flat tax,  la conferma dell’art. 18, e dei dei Voucher, il superamento dell’accordo di Dublino, il rimpatrio dei migranti irregolare (circa 500.000!),  costruzione di nuovi centri di accoglienza regionali, l’ampliamento del concetto di legittima difesa, l’asilo nido prima agli italiani, la ridiscussione dei trattati europei, una maggiore attenzione per la Russia pur rimanendo nell’alleanza atlantica. Elementi più di sinistra e cavalli di battaglia del M5S sono indubbiamente il reddito di cittadinanza, norne più efficaci per combattere la corruzione, la mafia e i conflitti di interessi, il superamento della legge Fornero, con l’introduzione della quota 100 (anni + numero contributi) per andare in pensione, una nuova legge sull’acqua pubblica. Sono previste anche riforme della Costituzione come il dimezzamento del numero dei parlamentari e l’introduzione del vincolo di mandato. Per quanto riguarda la politica economica ci si richiama alle teorie keynesiane, nella considerazione che la diminuzione del debito pubblico si deve fare attraverso la crescita finanziando, anche se in deficit, lo sviluppo. Anche le opere pubbliche, strategiche, secondo i passati governi sono a rischio come la TAV e la chiusura dell’ILVA di Taranto. Ad occhio e croce l’accordo prevede un costo annuo stimato da Cottarelli oltre i cento milioni annui calcolando che le entrate previste non superano i 500 milioni.

I giudizi critici, in Italia ed in Europa, non mancano così come gli avvertimenti ed i mercati sono in vigile attesa con lo spread in leggera ascesa. Il ministro Calenda dice che “la bozza dimostra che loro hanno un’idea per così dire fragile della nostra collocazione in Europa …. Sono disposti ad uno scontro frontale con l’Unione e persino ad ipotizzare la nostra uscita dalla moneta unica. E inoltre rivela un grado di impreparazione mai visto prima da provocare i brividi”. L’illustre costituzionalista Di Siervo teme che il Comitato di conciliazione (da ripensare secondo la bozza definitiva) conterrebbe elementi di palese incostituzionalità. Molti scrivono che l’Italia è a rischio. Senza essere catastrofisti è lecito prevedere che il cambiamento non sarà indolore e che il nuovo governo sarà una grande scommessa dalla quale l’Italia potrebbe uscire ancora più malridotta ma anche riservare risultati positivi nel cambiamento dei metodi e negli obbiettivi che una nuova classe politica e dirigente potrebbe attuare nella semplificazione del sistema, dando nuova spinta al funzionamento delle strutture pubbliche non più appannaggio dei poteri forti. Quindi aspettare per giudicare perché è opinione di molti che peggio di così non si potrebbe andare. In conclusione nell’accordo mancano molte cose, sul lavoro sul fisco, sul mezzogiorno, sulla redistribuzione della ricchezza; la lega ed il M5S sono in contrasto su molte altre cose e non è facile far convivere idee di destra con idee di sinistra, ma i due giovani leader sono abbastanza pragmatistici e pregiudicati da essere in grado di adeguarsi facilmente alle nuove situazioni. Devono dimostrare di trovare sempre un accordo anche cambiando la loro fisionomia politica. Se non ci riescono si ricomincia daccapo.

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud