Il recupero del dialogo politico

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Sabato a Roma la cerimonia per i 60 anni dai trattati che segnarono la nascita della comunità economica europea. Una personalità che ha sempre creduto nell’Europa è l’ex premier Enrico Letta. Lasciata la politica italiana, ha deciso di insegnare a Parigi senza però rinunciare ad analizzare i fatti interni ed internazionali. E’ convinto che c’è un filo che lega i tre episodi simbolo di questo ultimo anno: la Brexit, la vittoria di Trump e il referendum costituzionale. Tutti a dire – spiega Letta – che è colpa del populismo, invocato come se fosse la peste. Ma è un comodo alibi, le cose non stanno così. Colpa piuttosto di partiti adulterati, scatole vuote in cui il fregare gli altri della propria comunità sembra un valore. Parole chiare per mettere in evidenza che la politica italiana non è più un insieme di moderazione, equilibrio, dialogo con l’avversario, senso delle istituzioni e dello Stato. Pezzi di un unico puzzle che compongono la parola mediazione. Una parola che sembra scomparsa dal vocabolario del sistema attuale dove non c’è più nulla da mediare. E’ quello che è accaduto, ad esempio, nel partito democratico. Nessuno dei protagonisti in campo nel PD ha provato a cedere e a concedere. Tutto si è risolto e consumato con livore personale. La storia della sinistra è una storia fatta da scissioni. Basta andare al 1921 quando Gramsci e Bordiga fondarono da una costola dei socialisti, il partito comunista. E settant’anni dopo nel 1991 si consuma il passaggio dal Pci al Pds. Un divorzio che lacerò animi e coscienze. Uno psicodramma per tanti militanti spiazzati dalla svolta di Occhetto e contrari al cambio di nome e di simbolo. “Per molti di voi il Pci è un bambolotto di pezza”, li strapazzò Fabio Mussi e quella frase scatenò reazioni furiose. Una famiglia insomma che si divide, una comunità che va in frantumi. Una visione drammatica. Tutto questo oggi non c’è stato. La scissione nel Pd è avvenuta senza sofferenza. Lasciare il partito è stato come strapparsi un cerotto, fa male però dopo si sta meglio, ha detto con noncuranza Massimo D’Alema. Insomma soprattutto rancore personale da una parte e dall’altra. Il compito di sfidare Renzi dall’interno è ora affidato ad Emiliano e Andrea Orlando. Fuori dal perimetro del PD oltre al movimento di D’Alema e Bersani, c’è quello che sta costruendo l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia e per chi vuole spingersi anche oltre l’area di governo, la Sinistra italiana di Fratoianni e Vendola, Possibile di Pippo Civati e Rifondazione Comunista, sopravvissuta alla scissione di un quarto di secolo fa. Il paese è in crisi, si sta disgregando sotto mille spinte populiste e territoriali e la sinistra da anni occupa la scena mediatica con le proprie liti interne. Chi resta fedele ad un’idea, ad una impostazione appare quasi come un reduce, un sopravvissuto, un politico d’altri tempi. Per tornare ad Enrico Letta, l’ex premier ha definito le scissioni disastrose perché riducono lo spazio anche nel proprio campo. Questa politica parcellizzata ha caratterizzato questa fase di democrazia sempre più fragile. Ci sarebbe invece bisogno di democrazie forti e non di uomini forti per governare le diversità e per non rinchiudersi in steccati angusti e chiusi. Quello da fare in modo prioritario è il recupero di credibilità da parte della politica. Un recupero che innanzitutto dovrebbe partire da un maggior senso di responsabilità. Dieci anni fa il 26 marzo del 2007 moriva il padre politico di Enrico Letta e cioè Beniamino Andreatta un convinto europeista che ci ha insegnato a “primeggiare per merito, etica individuale, trasparenza dei comportamenti, franchezza, onestà, libero confronto e assunzione delle responsabilità”.
edito dal Quotidiano del Sud