Il revival delle riforme

0
394

Di Andrea Covatta

Puntualmente ad ogni inizio di legislatura si torna a parlare di riforme per rendere più stabile ed efficace il nostro sistema perché, dal secondo dopoguerra, si sono susseguiti 68 esecutivi in 75 anni e tutti i governi di coalizione si sono dimostrati fragili e poco coesi. Una soluzione possibile è quella di dare maggiori poteri al premier o al Capo dello Stato. Il presidenzialismo è da sempre uno dei cavalli di battaglia della destra. Negli anni Ottanta a lanciare il tema è il segretario socialista Bettino Craxi e la sua proposta trova il pieno sostegno del Movimento sociale italiano. Venne istituita una Commissione bicamerale presieduta dall’esponente liberale Aldo Bozzi e alla fine dei suoi lavori partorì un testo che prevedeva il rafforzamento dei poteri del premier, con voto di fiducia espresso solo a lui e potere di revoca dei ministri. Non se ne fece nulla. Finita la prima repubblica e iniziata la seconda, da Berlusconi in poi, i leader che si sono alternati alla guida del paese, tranne Prodi, hanno coltivato la “religione del consenso” e cercato un rapporto diretto con l’opinione pubblica senza nessuna mediazione. Per dirla con Ezio Mauro il leader vuole esercitare il comando riducendo i vincoli di Stato e vendendo questa operazione come libertà. Chi vince, secondo questa logica, attraverso il presidenzialismo o con il premierato personalizza il potere, rompe il tradizionale equilibrio dei poteri e istituzionalizza una situazione che in modo ibrido esiste dal 1994. Il Parlamento con il tempo ha perso la sua centralità, si governa ormai a colpi di fiducia e gli esecutivi, pur avendo maggioranze ampie, rifiutano il dialogo e il confronto e fanno valere la legge della maggioranza. La politica, secondo questo ragionamento, smette di essere un mestiere per mediatori e diventa invece appannaggio per politici dalle convinzioni nette e immutabili. Tutto questo in teoria perché poi a forza di inseguire il consenso e il sondaggio di turno ogni nuovo leader ci illude con promesse mirabolanti e ci delude quando entra a Palazzo Chigi e si scontra con la dura realtà. In questi ultimi anni tutti i tentativi di fare le riforme sono stati tentati a colpi di maggioranza. Ci ha provato prima Berlusconi e poi Renzi, con altrettante sconfitte nei referendum costituzionali. L’unica riforma costituzionale di successo è stata quella dei Cinque Stelle, con la riduzione dei parlamentari (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori) approvata dal referendum del 2020. Un piccolo insegnamento, dunque, ci arriva dalla storia: le riforme è meglio farle insieme. Una lezione che al momento non è stata colta e in questo clima di freddezza reciproca mettere mano ad una riforma costituzionale può portare o a compromessi al ribasso oppure a delle forzature. In un sistema fragile come quello di adesso senza una condivisione si rischia – come ha scritto Massimo Franco – di aggravare l’anomalia, usando come alibi una presunta stabilità governativa per non riconoscere e correggere i propri limiti.