Stavolta Renzi ci va giù pesante: se Conte non cambia le regole sul Recovery fund e abolisce la cabina di regia, voto contro. Lo ha detto al Senato e lo ha ripetuto al giornale spagnolo El Pais. E’ un ricatto che ha della irresponsabilità in un periodo così difficile della vita nazionale. La pandemia non ha insegnato nulla ai nostri politici che sono rimasti ancora ai metodi della prima repubblica e ai suoi tavoli spartitori. Eppure Renzi che, sebbene spregiudicato ai limiti dell’arroganza, non è uno sprovveduto non si esime di mettere in atto per esclusivi interessi di bottega. Altro che statista, come vuole far credere! Bisognerebbe andargli a vedere le carte e capire cosa abbia in testa e, soprattutto, se gli altri partiti, e persino i suoi, siano disposti a seguirlo. Per ora, compreso il PD, lo lasciano fare perché, attaccati al potere, vogliono partecipare, ciascuno secondo i propri interessi elettorali, alla spartizione dei 209 miliardi del Recovery Fund. Berlusconi, non a caso, è già sceso in campo con le sue televisioni e i suoi “piazzisti”. I poteri forti, con i loro giornali e la potenza economica di cui dispongono, non vedono l’ora di buttar il Governo, sostituendolo con uno di larghe intese o almeno condizionarlo con un corposo rimpasto per indurlo a più miti consigli. Ci sarebbero già riusciti se nel frattempo non fosse scoppiata la pandemia che ha già fatto più di sessantamila morti.
Ma veniamo a Renzi, il nuovo Ghino di Tacco della politica italiana. Quando è stato Presidente del Consiglio avocò a sé quasi tutti i poteri; si circondò di centinaia di commissari e di strutture parallele, esautorando il Parlamento, umiliando i sindacati e riducendo al silenzio i suoi con la più cinica politica di rottamazione che alla fine risultò deleteria per lui. Fece approvare una pessima e incostituzionale legge elettorale e una riforma costituzionale a suo uso e consumo che fortunatamente il popolo gli bocciò. Oggi grida allo scandalo anche se nulla è ancora deciso e Conte ha promesso di discutere con tutti anche se difende la scelta di una cabina di regia con sei esperti coordinata dallo stesso Presidente e dai ministri Gualtieri, Patuanelli e Amendola, che dovrebbe occuparsi – come ritiene il presidente emerito della Corte costituzionale Onida sul “Domani” – non della deliberazione o della redazione dei progetti ma dell’attuazione dei programmi di spesa deliberati da Governo e Parlamento. In questo senso non si tratterebbe di un governo parallelo: la fase di decisione politica, spetta al governo, ai ministri e al Parlamento e quella di attuazione, puramente amministrativa, verrebbe coordinata da tecnici e manager coordinata dallo stesso Presidente del Consiglio e i tre ministri! Governo decide a chi assegnare la realizzazione tecnica del piano se ai singoli ministeri o a una task force!
E questo perché in passato l’esperienza dell’utilizzo dei fondi Cee non ha funzionato per il rispetto di una serie infinita di leggi, decreti e regolamenti (dieci volte più della Germania e cinque più della Francia) che si sommano nella stessa materia che ne hanno intralciato l’iter e una burocratizzazione, ligia al potere politico e timorosa do finire sotto il fuoco della magistratura ha finito per rallentare ancor più la conclusione delle opere iniziate o ancora da iniziare. A fine 2018 dei fondi europei stanziati l’Italia ne aveva utilizzato meno di un terzo. Fino al 2017 dei 76 miliardi stanziati ne aveva consumato appena il 9%, rischiando la restituzione di quelli non utilizzati. Peggio di noi ha fatto solo la Croazia e la Spagna! Il grosso delle risorse continua ad essere gestito dalle Regioni. Le Amministrazioni sono lente nella programmazione degli interventi e nei controlli e nella certificazione della spesa e a causa della sciagurata riforma del titolo V della Costituzione improvvidamente fatta dal Centro sinistra la competenza, frammentata tra Stato e Amministrazioni locali accresce il problema, senza contare che in passato si sono verificate irregolarità, corruzioni e truffe.
Lo stesso Renzi, da capo del Governo avocò a sé il Dipartimento per le politiche di coesione sottraendolo al Ministero dello Sviluppo. Ora ha cambiato idea! Nessuno entra nel merito degli interventi da fare e di quanto destinare al Sud (il 34% secondo una bozza governativa che assegnerebbe il 48% alla digitalizzazione, la cultura, il turismo, il 19% alle infrastrutture, il 17% all’assistenza, ricerca e innovazione e il 9% alla salute. Su questo si dovrebbe discutere!
di Nino Lanzetta