Il ruolo dell’Italia in Europa

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Uno stimato ed amato docente del glorioso liceo “Colletta” di Avellino soleva spesso ripetere ai suoi allievi che “per i mediocri ed i cattivi è sempre più facile parlare alla pancia dei molti”. Al contrario, intendeva dire, che parlare al cervello è sempre più difficile far pervenire dei messaggi positivi, specialmente da chi ha responsabilità precise, nella famiglia, nella scuola, nei vari livelli istituzionali o, comunque, nei diversi ambiti relazionali del tessuto civile di una comunità. Credo che l’attuale crisi, sempre più aspra, tra l’Italia e la Francia, abbia la sua genesi ideologica proprio nel facile «salvinismo», diretto alla pancia degli italiani, sempre più incalzante all’interno delle scelte dell’attuale governo Meloni, per quanto attiene, in modo particolare, la questione migratoria. Il rischio peggiore che corriamo è la perdita di “ruolo” dell’Italia, nel quadro politico europeo, che la figura autorevole di Mario Draghi aveva pazientemente costruito. Tutto il resto, polemiche e dati statistici facilmente dati in pasto all’opinione pubblica per sostenere scelte non responsabili, sono bene poca cosa rispetto ad una questione di fondo, tipicamente italiana: assenza di una politica estera di buon livello e senza leader autorevoli. È dal 1992 che inizia il pesante ridimensionamento del ruolo internazionale italiano, anche a causa dello squilibrio dei rapporti tra le istituzioni elettive e la magistratura, spesso costretta a far luce nel vuoto legislativo su importanti segmenti della vita democratica e sociale. Il governo Monti del 2011, ossia il commissariamento della politica italiana, ha reso ancora più evidente il nostro ridimensionamento italiano. La parentesi di Mario Draghi che, come presidente della Repubblica, avrebbe certamente “garantito” un positivo ritorno della politica per ridare un ruolo internazionale all’Italia. Attualmente il consolidato prestigio di Mattarella, con la connessa imparzialità istituzionale, può rivelarsi insufficiente per evitare i rischi della destra al potere. Le carte giocate, con molta determinazione da Giorgia Meloni, in ordine ai suoi rapporti nazionalisti polacchi, con i conservatori inglesi e con i repubblicani americani, nonostante le sue proclamate e reiterate distanze dal putinismo, hanno trasformato le non poche perplessità internazionali, in palese perdita di fiducia di un paese tradizionalmente “amico” come la Francia – e non solo della Francia – a causa di scelte “disumane” verso il fenomeno migratorio. All’interno di questo quadro italiano si registra il tentativo di un centro che tenta di articolarsi sulla scena politica, forte del prestigio di un europeismo che appare, attualmente, come evidente ed unico strumento contro le avventure putiniane in Ucraina. In realtà a questo centro mancano chiare basi culturali, come quelle del partito repubblicano e del partito liberale. Accanto al centrismo laico esistono spazi politici di mobilitazione di spezzoni dell’antico mondo democristiano, con personaggi senza reale respiro ideale e programmatico, senza configurarsi come un partito di nicchia, preferendo opzioni verso realtà maggioritarie. Sul fronte del secondo partito italiano, il Pd, il fenomeno più impressionante è quello della marginalità del personale formatosi nel vecchio partito comunista e nella vecchia DC. Dopo l’uscita di Massimo D’Alema, Giorgio Napolitano e Aldo Moro, non sono più emersi significativi ed autorevoli protagonisti della discussione politica. Figure evanescenti come Pierluigi Bersani e Nicola Zingaretti ed eminenze grigie come Goffredo Bettini, sono state figure, pur notevoli, di opinionisti, ma non di leader. In versione postdemocristiana sono rimasti i legami sia nei confronti dell’amministrazione dello stato, sia nel rapporto con enti e corpi intermedi. Da questo quadro poco confortante, non pochi avevano sperato che, dando la parola al popolo sovrano, si poteva dare vitalità a una politica che mai si potrà ricostruire «dall’alto». Come la storia italiana ha dimostrato dal dopoguerra ad oggi. Purtroppo le ultime elezioni politiche e l’attuale governo Meloni, almeno dalle prime scelte operate, ci costringono a ritenere che siamo passati dalla padella alla brace!

di Gerardo Salvatore