Il ruolo dell’UE nella pandemia. Intervista a Brando Benifei, capogruppo Dem al Parlamento Europeo

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Di Matteo Galasso

La pandemia dovuta al Covid-19 ha rappresentato e rappresenta ancora un grave pericolo per la salute pubblica e sicuramente un terribile shock per le economie mondiali. L’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno lavorato insieme per tutelare la salute dei cittadini attraverso il potenziamento dei sistemi sanitari nazionali per contenere la diffusione del virus e contemporaneamente hanno adottato misure per attenuare l’impatto socio-economico che ne è derivato sostenendo in qualche modo la ripresa. Ne parliamo con l’onorevole Brando Benifei, capogruppo Dem al Parlamento Europeo.

 

Onorevole Benifei, che ruolo ha giocato l’Ue nella pandemia? Ha fatto davvero la differenza rispetto ad una situazione che potrebbe essere stata decisamente più drammatica da un punto di vista economico?

Certamente l’Ue ha fatto la differenza per quanto riguarda la strategia vaccinale, che seppur con alcuni ritardi presenta ad oggi un successo per l’Europa, perché siamo l’area del mondo con più vaccinati rispetto alla popolazione, oltre che principale produttore ed esportatore nel mondo degli stessi vaccini. Sul fronte socio economico, la scelta di realizzare per la prima volta un debito comune che ha vincolato tutti gli europei anche di fronte al mondo nel proporre un piano di ripresa molto consistente in termini di risorse – per l’Italia più di 200 miliardi di euro – sarebbe stata irrealizzabile da parte degli Stati Europei presi singolarmente, dove ci sarebbe stato anche un elevato indebitamento nazionale. Il ruolo dell’Europa ha messo insieme delle risorse per spingere a una ripresa, appena iniziata, che ha bisogno di sostegno perché si rischia– nonostante un consistente recupero di Pil –di non riuscire a recuperare i punti persi in termini di lavoro e assunzioni, che invece per noi, come forze progressiste sono una priorità assoluta. Non possiamo definirla “ripresa” senza che ci siano nuove opportunità di lavoro per tutti, ma solo qualcosa che vada a vantaggio di chi non abbia avuto alcun problema. Le risorse messe a disposizione hanno certo più valore per un Paese come l’Italia, che non avrebbe potuto auto-finanziarsi con ingenti risorse: è la dimostrazione che l’Europa è interconnessa e i Paesi Europei hanno bisogno gli uni degli altri. Alla fine non è stata fatta una scelta di solidarietà generica, ma, con l’indebitamento comune, si è perseguito un vero e proprio interesse comune. La ripresa dei paesi come Italia, Francia, Spagna e gli altri che hanno ricevuto una grande fetta dei fondi va supportata anche nell’interesse di Paesi più solidi da un punto di vista finanziario che, però, hanno bisogno, per prosperare economicamente, che riparta anche il mercato delle nazioni più colpite. Quindi, la nostra interdipendenza sviluppatasi in questi decenni si può definire solidarietà di fatto..

 

Ci spieghi in che modo l’emergenza sociale, economica e culturale dovuta alla pandemia da Covid-19 abbia, in un certo senso, avvicinato tra lorogli Stati Europei.

L’Europa non sarebbe potuta ripartire senza la coesione di tutti i Paesi europei. Un esempio emblematico è quello della lettera mandata dalla Confindustria tedesca ad Angela Merkel nel 2020 dove si sottolineava che, senza un piano robusto finanziato con il debito comune e non solo con i prestiti agevolati, di cui si parlava a inizio pandemia, anche il Mondo economico tedesco avrebbe sofferto la crisi italiana, essendole catene di valore con le imprese italiane molto stette. Si era quindi compreso che la ripresa dell’Italia fosse condizione importante per quella della Germania.

 

Crede che i cittadini degli Stati dell’Unione o almeno una parte di essi si sentano più Europei dopo la pandemia?

Io credo di sì, perché la risposta forte dell’Europa ha determinato una maggior fiducia. In base alle rivelazioni, vi è un aumento della fiducia nel progetto comunitario perché si è vista un’azione comune che aveva tardato ad arrivare nelle crisi passate. Non possiamo definire questo un punto di arrivo perché si tratta di una fiducia condizionata dall’emergenza. Io credo molto nel progetto in corso per quanto riguarda la conferenza sul futuro dell’Europa, per proporre un futuro assetto dell’Unione più democratico, che superi il meccanismo dei veti e dove si realizzi la trasformazione in pezzo permanente del Next Generation Eu del bilancio dell’Unione, con risorse proprie e fiscalità comune. È in atto un dibattito per una riforma che ne aumenti la stabilità: la ritengo necessaria per consolidare una nuova fiducia nel progetto comunitario, che altrimenti diventerebbe un investimento temporaneo che rischierebbe di andare perduto senza una prosecuzione del rafforzamento dell’integrazione. Dobbiamo dimostrare come stando uniti siamo più forti e in grado di dare risposte più puntuali, rapide ed efficaci ai bisogni dei cittadini europei.

 

Crede che questo processo di assimilazione culturale sia realizzabile in un futuro che veda la nascita di una Federazione Europea?

Sono iscritto da tanti anni al Movimento Federalista Europeo e sono molto convinto di questa prospettiva, inoltre, sono il presidente del Gruppo Spinelli al Parlamento Europeo, il quale racchiude i parlamentari che si ispirano alla proposta di Europa federale di Altiero Spinelli. Dunque non solo ritengo che il processo di unione sia possibile, ma lo considero urgente e auspicabile. Penso che questo sia un progetto politico concreto, così come il Manifesto di Ventotene, che non parla di sogni ma di progetti realizzabili. Considero invece dei sognatori di sogni sbagliati, velleitari e irrealistici, i nazionalisti, i quali propongono l’isolamento e la disgregazione degli Stati Europei. Sono poco pragmatici perché vogliono qualcosa che non è già più realizzabile: chi di noi chiede una federazione è invece concreto, perché questa idea non può che giovare ai cittadini Europei. La narrativa della destra nazionalista, che giudica fuori dal mondo o idealista chi vuole un’Europa unita, va ribaltata. Noi come federalisti proponiamo un’azione concreta e realistica.

 

Un’Europa unita potrebbe avere un peso decisamente più influente nella politica globale rispetto agli Stati presi singolarmente. Al momento si tratta di un’utopia, ma è possibile che i governi dei membri dell’Unione concordino di attuare politiche di cessione di sovranità, una volta raggiunto l’epilogo della pandemia?

Sicuramente la vicenda della pandemia ha imposto a spingere per un livello di integrazione superiore, ad esempio il tema dell’unità sanitaria, che prima era solo un’utopia è ora molto condiviso. Anche sul fronte della politica estera, sono fiducioso, pensando che anche a ciò che è accaduto in Afghanistan porti a una spinta per superare il meccanismo dei veti e dare una risposta da questo punto di vista. È sicuramente necessario un lavoro graduale perché la politica estera è una delle rappresentazioni più importanti della sovranità nazionale, ma – partendo da azioni militari comuni per la tutela dei diritti umani (questi sono i due fronti su cui spinge per una politica integrata il Parlamento Europeo) – possiamo iniziare a costruirne una che ci ponga a livello di altre aree del mondo, perché Cina, Stati Uniti e Russia giocano a livello globale una politica propria, con un’Europa che fa fatica ad esprimersi autonomamente. Voglio ricordare la vicenda siriana, dove l’Europa è stata maggiormente colpita dal flusso di profughi non riuscendo a incidere a livello internazionale, ma potendo solo assorbire gli arrivi, perché i Paesi europei erano divisi sulla risposta da dare. Sotto quest’aspetto ci hanno però pensato Cina, Turchia e Russia ad incidere. Stessa cosa accadrà in Afghanistan: dov’è l’Europa? La Cina giocherà con Iran e Pakistan un ruolo principale. È necessario costituire subito un fronte comune sulla politica estera, concreto e non solo di reazione.

 

Parlando di migrazioni da est e dall’Africa, farebbe la differenza una politica migratoria unita, che distribuisca equamente l’ondata migratoria su tutti gli Stati dell’Unione e non scarichi il peso sugli stati di confine, i quali spesso non dispongono degli strumenti necessari per gestire da soli gli arrivi?

È una battaglia centrale e questo tema rimane tra i più divisivi. Infatti, mentre su altri temi economici e sociali divisivi si è trovato un accordo, sulla migrazione abbiamo ancora il patto per la migrazione che vede ancora in cantiere la riforma del regolamento di Dublino. Su questo tema non abbiamo una stabilità di norme che permettano di ridistribuire i rifugiati in maniera equa e sostenibile tra i paesi europei. La battaglia è prioritaria ed è molto importante sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi, perché riguardando persone che non votano. È importante che siano gli Europei a considerare le priorità per arrivare aduna soluzione. Noi come Europarlamentari del Pd abbiamo cercato di dare un contributo di sensibilizzazione con una missione sulla Rotta Balcanica, dove ritorneremo entro la fine dell’anno proprio perché pensiamo che una luce vada accesa anche di fronte a nuovi movimenti dall’Afghanistan.