In dialogo con il futuro, l’abbandono delle radici, i giovani e la terra dell’osso

0
439

di Emilia Dente

È complesso il processo comunicativo ed è in continua evoluzione, in un intreccio fecondo e multiforme con i tempi e la realtà circostante. La società attuale è fluida, precaria, rivoluzionata  e rivoluzionaria, incatenata ad archetipi e retaggi di un oscuro passato, eppure protesa verso un luminoso e insidioso  futuro e la comunicazione, le sue dinamiche, i suoi strumenti, sono elementi fondamentali, che, allo stesso tempo, generano e sono generati dall’esperienza sociale. La consapevolezza della molteplicità dei linguaggi e la capacità di utilizzare lo strumento e l’atteggiamento comunicativo adatto, è fondamentale nell’interazione quotidiana, come nei validi progetti educativi. Questa la convinzione basilare, l’assioma imprescindibile e il punto di partenza che ha mosso ogni proposta e ogni progetto socio-culturale che, insieme a singoli, enti ed associazioni, impegnate a favore della nostra terra, in passato ho avuto il privilegio di realizzare e che ancora, testardamente, continuo a proporre.

Riflettere insieme, comprendere, condividere e utilizzare linguaggi e modi comunicativi eterogenei, meno rigorosi e più empatici, può aprire spiragli di interazione e dialogo costruttivi, pure con la fragile e selettiva generazione Z, con cui tante volte è difficile stabilire un contatto intergenerazionale. Ricordo, a questo proposito, un progetto di Alternanza Scuola Lavoro realizzato alcuni anni fa con gli studenti di un liceo di Avellino e con la collaborazione di storici, custodi della memoria, professionisti e volontari. Avellino e i suoi tesori è l’emblematico titolo del progetto che si proponeva di far conoscere e narrare ai giovani il patrimonio storico, artistico e monumentale della città, per trasmettere conoscenze, per consolidare il senso identitario e di  appartenenza  e, nella parte operativa,  per fornire ai ragazzi gli strumenti tecnici e grafici necessari per “raccontare”  il loro territorio e divenirne promotori.

Un ribaltamento di prospettiva in itinere, ben studiato e programmato nei dettagli che, nell’ambito del progetto, rese gli studenti non solo  attivi fruitori, ma pure protagonisti del racconto e, attraverso uno strumento che a loro apparteneva e utilizzavano costantemente, la fotocamera del cellulare, ha dato loro modo di scoprire ed esprimere la bellezza in un linguaggio nuovo, originale e dinamico, intessuto di immagini, emozioni e frammenti di parole. La bellezza  esplorata con occhi nuovi e narrata attraverso strumenti nuovi. Dalle facce annoiate della scuola depositaria all’entusiasmo di potersi esprimere  a modo proprio e infine alla gioia di essere ascoltati. E io, contagiata dal loro entusiasmo, imparai da loro a tradurre le emozioni in immagini, sfocate, filtrate, panoramiche, comunque sempre stillate dai moti dell’animo. Frammenti di visioni e frammenti di un linguaggio nuovo che avevano condiviso  con  noi che volevamo trasmettere qualcosa ed abbiamo ricevuto tanto. È stato un buon progetto, anzi un ottimo progetto, come documentato pure dai report realizzati in itinere, dai questionari  e dall’analisi statistica finale  (da buona sociologa, imparo nuovi linguaggi, ma non  rinuncio alle rigorose metodologie dell’indagine sociologica) e ha testimoniato l’affiliazione acquisita dai giovani cittadini ad una città che imparavano a conoscere, a esplorare e a sentire propria. Un solco fecondo in cui far germogliare i semi verdi del futuro di questa terra.

La sera in cui il progetto e i dépliant illustrativi che i ragazzi avevano concretamente realizzato per raccontare il “loro” territorio, vennero presentati alla comunità, fu dedicato poco spazio all’ascolto dei ragazzi e a quello che essi volevano comunicare. Le voci dei “grandi”, impegnati in discorsi e questioni importanti di politica ed economia, presunte soluzioni per evitare lo spopolamento inesorabile nelle nostre terre, e, paradossalmente dediti al prioritario impegno del benessere dei giovani, coprirono le parole vive dei ragazzi e ombrarono lo spiraglio della comunicazione, non comprendendo affatto che per costruire il futuro bisogna mettersi in ascolto e dialogare con quel futuro, abbattendo barricate e aprendosi a linguaggi ed esperienze nuove. Antichi mali e moderne ipocrisie.

Sono  passati anni. Il progetto è stato dimenticato, i ragazzi sono andati via.  Rimane l’amarezza dell’ennesimo valido piano inutilizzato per la crescita e il benessere dei giovani della nostra terra. Rimane la positiva esperienza della collaborazione con gli studenti, i docenti e la scuola e rimane la conferma dell’utilità e della necessità di una buona comunicazione. Rimane il ricordo gratificante di ragazzi che conoscono un pó di più le bellezze e le vere criticità di Avellino e del Sud . A me rimane pure l’amara certezza che poco si riflette sul fatto che  quei  “tesori di Avellino” e, più in generale,  della terra meridionale, non sono solo il patrimonio di bellezze paesaggistiche, artistiche ed artigianali che  pure troppo poco sono valorizzate, ma sono soprattutto il patrimonio umano di persone  che ascolta, comunica, progetta, dedica energie e passione a  questa terra e, non trovando ascolto e spazio per esprimere le proprie potenzialità, è costretto a trovare altre strade e altre terre.

Nei solchi neri della terra dell’osso si lasciano marcire le radici del passato e le gemme del presente. Restano sole, le sentinelle dell’alba, a vegliare il futuro.