In ricordo di Domenico, intellettuale ed educatore

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Caro Domenico,

non avrei mai immaginato un simile momento, non avrei mai desiderato un simile momento, ma “c’è una legge Issione, cui bisogna obbedire, questa legge è il destino” ( C. Pavese) o la volontà di Dio, per i credenti.

Tanti altri avrebbero potuto ricordarti, ma per i tuoi familiari è stato spontaneo chiedere a me, l’amico di sempre – Mogol e Battisti ci chiamava qualcuno – di “tracciare” un tuo ricordo per rendere meno mortali gli elementi essenziali della tua ricca vita: sempre con Pavese “l’uomo mortale solo questo ha di immortale: il ricordo che porta, il ricordo che lascia”.

Caro Domenico ci siamo conosciuti almeno 50 anni fa, e a farci incontrare – ché non era facile all’epoca, poiché le zone di Sant’Andrea erano tante isole a parte: la Chiesa, la Piazza, li Cagg’ – furono i fumetti.

Nonna Rosa mi disse: è venuto un ragazzo, ha detto che ti conosce e si è preso alcuni dei tuoi “giornaletti”. Venisti a cercarmi per ringraziarmi e cominciammo a scambiare ogni attimo, ogni pensiero, e non solo giornaletti.

Per fare di te solo un profilo in superficie avrei bisogno del tempo per un intero libro, ma tu hai fretta ed io devo farla breve.

Ricorderò solo i tratti salienti del professionista che ha vissuto ogni ora nella scuola e per la scuola; dell’uomo impegnato culturalmente per una riforma morale e civile dei nostri territori; del giovane, eterno ragazzo, che con la sua chitarra ha fatto cantare tutti gli anni settanta ed oltre a Sant’Andrea ed altrove.

Laureato in matematica a soli 23 anni, hai cominciato subito ad insegnare, diffondendo l’amore per questa disciplina, non proprio semplice, ovunque sei stato ad insegnare: da Senise a San Fele, da Muro Lucano a Melfi, da Lioni a Caposele a Sant’Angelo.

Per quasi 40 anni, migliaia e migliaia di alunni, dalle medie alle superiori, hanno potuto godere della tua capacità di e-ducere, di educarli, lasciando in loro un segno indelebile: l’altro ieri un tuo alunno di Torella, che ha avuto successo nella vita, mi ha confidato “ io non studiavo molto, ma come te li chiariva lui i contenuti non potevi che capire”.

Caro Domenico, la tua preparazione era adeguata per l’Università, ma anche tu hai voluto donarti ai ragazzi delle nostre terre sfortunate ed amavi ripetere con Rousseau che “per insegnare il latino a Giacomino bisogna conoscere certo il latino, ma bisogna prima conoscere Giacomino”.

Questo per dire del docente, e non è da tutti, magari fosse!

Ma tu sei stato innanzi tutto un instancabile progettista per la scuola e della Scuola: quando arrivasti a Caposele portavi con te il bagaglio di responsabile della qualità per  l’ITI di Melfi, dove il caro Preside Giorgio ti teneva in gran conto, e di progettista del Vanvitelli, da dove la preside Garofalo non ti avrebbe mai lasciato andare via.

A Caposele si compì il miracolo: trovasti il Liceo scientifico maxisperimentale Brocca ed incontrasti me, tuo cugino Pasquale ed Ettore Montanari, che ci ha lasciati da poco, nel momento magico dell’Autonomia scolastica.

Grazie soprattutto a te, diventammo il centro sperimentale per eccellenza: troverò il modo di pubblicare lo schema di riorganizzazione della didattica che realizzasti, modulando compresenze, classi aperte, approfondimenti curricolari ed extracurricolari. L’ispettrice Barone di Salerno, che venne a verificare il nostro lavoro, restò senza parole trovando una scuola con didattica tutta laboratoriale e proiettata verso le nuove tecnologie ed il futuro.

E, soprattutto, tu ed io incrociammo i fondi Europei: ad Avellino, come mi ha confessato il preside Boccia, aspettavano i nostri formulari per capire quali delle altre scuole fossero da approvare e quali no!

Spero che qualcuno prima o poi dia a Cesare quel che è di Cesare e a te e me quel che è mio e tuo!

Nel primo settennio 1999-2006 realizzammo quasi 100 – si, cento! – progetti tra corsi di ogni tipo: dall’informatica agli stage; dai corsi per donne a quelli per gli adulti, al laboratorio del gusto ove imponemmo la conoscenza dei formaggi e del Carmasciano.

La stanza del tuo studio, ricordi Maria?,  era diventata peggio di un centro di ricerca a cui si collegavano le altre due amiche progettiste anch’esse andate via anzi tempo, le care Nicla Popoli e Antonella Mancini.

Abbiamo formato centinaia di giovani, di docenti e di adulti all’uso del computer, sia in Alta Irpinia che nella Valle del Sele, grazie anche a  Cecilia Colombini e soprattutto a Riccardo Prinzi, col quale abbiamo progettato l’acquisto dei laboratori sia a Sant’Angelo che a Caposele, contribuendo a collocare quella scuola tra le sette migliori d’Italia.

Per fortuna il preside Marandino ha dato alle stampe tutti i nostri progetti approvati, finanziati e realizzati, così come la Provincia di Avellino pubblicò il libro che ideasti sull’alternanza scuola lavoro, con i nostri interventi, precorrendo ogni tempo, ben dodici anni fa.

Infine, il preside Marandino fu molto lungimirante nel credere in te, nella tua instancabile capacità di lavorare, dandoti i compiti più ardui, come la realizzazione del manuale della qualità e la procedura per far diventare la nostra scuola ente di formazione: non so come hai fatto s districarti tra gli uffici del FORMEZ, eppure ce l’hai fatta!

Ma tu, caro Domenico, sei stato soprattutto l’uomo, il marito, il padre, l’amico, il cittadino impegnato a far crescere quella riforma morale e civile dei cittadini, spingendo per la diffusione della cultura tra la gente, gli umili e gli ultimi.

La tua è stata una vita segnata dal modello dell’intellettuale impegnato, che non si chiude nella torre d’avorio, ma si spende – tempo e denaro – per fare avanzare le idee di libertà, uguaglianza e fratellanza.

E ti ha retto il senso del lavoro come sacrificio – come qualcosa di sacro, inviolabile -: da studenti liceali, ti ricorderai, ogni domenica, tu venivi ad aiutarmi a raccogliere le pelli stese al sole, spesso con Sabino, poi io venivo da te ad aiutarti ad incollare gli infissi.

Siamo cresciuti a pane e lavoro, grazie a quel grande esempio dei nostri genitori, che non conoscevano ferie!, come dicevamo ieri con tuo fratello Salvatore.

Quei nostri genitori, dalle origini modeste,  che alla vita non chiedevano altro che il nostro benessere!

E tu, per non deluderli, hai sentito il dovere di far sentire il tuo amore per Maria, Lucia e Massimiliano in tutti i modi, anche sacrificando il tuo tempo libero, impegnandolo in lezioni a casa tua per aiutare i tanti giovani in difficoltà in matematica, specie all’università: quante volte ti ho visto felice perché i tuoi nuovi alunni superavano gli esami insormontabili e si apprestavano alla laurea: quanti giovani, anche di Sant’Andrea, devono a te il loro successo!

Ma tu sei stato soprattutto l’uomo politicamente impegnato, schierato a sinistra con le armi della critica, cioè della cultura: il meglio di te – oltre ai manifesti, graficamente bellissimi ed accurati, che confezionavi per la sezione –  lo hai regalato quando, io vicesindaco, fosti incaricato di dirigere la commissione biblioteca.

Dimostrasti ampiamente che si poteva cambiare il mondo, sebbene nel nostro piccolo, anche solo parlando di libri, organizzando mostre, e mettendo a disposizione degli studenti le migliori riviste specialistiche, spesso introvabili  anche nelle biblioteche di facoltà: sarebbe interessante che i giovani di oggi che parlano di libri si rendessero conto di quel che c’è stato prima di loro.

In tutti questi anni, caro Domenico, pur con tanti cambiamenti che la vita ci impone, sei rimasto il ragazzo, il giovane che eri negli anni settanta, allorquando fare il tuo nome significava associare le parole chitarra e musica.

È vero, c’era Antonio, il maestro Paganini, anche lui deceduto troppo presto, di qualche anno più grande di noi che ci aveva spinti, ma tu la musica la tenevi nel tuo spirito, e quando decidemmo di dare vita ad una band – allora 15enni – non potevi mancare tu: sotto la guida di Mario Martino, il professore, Antonio, Pietro De Liseo, tu ed io , demmo vita al gruppo le nuove stelle, che andò avanti un bel po’ fin quando tuo padre non venne a sapere dai professori di Calitri che il tuo rendimento era calato e ti sequestrò la chitarra.

Sciogliemmo il gruppo, ma per fortuna la tua chitarra ti fu restituita e non ci fu occasione comunitaria che mancasse a rendere lieta l’occasione.

Giovani, musica, politica: fu questo l’intreccio che portò a sostenere tante iniziative che si concretizzarono in tante scelte di cui l’Episcopio era la massima espressione. Ma non c’era giorno che la tua chitarra tacesse e non solo a Sant’Andrea: ricordi Siena, quando nel 1981 Fabrizio Vigni, il deputato di Siena, ci fece uno scherzo incredibile facendoci esibire allo spazio giovani? Noi non demordemmo e offrimmo una serata indimenticabile di canti – tu ed io – e di recitazioni, Michele Giorgio accompagnato dalla tua chitarra.

Insomma, ovunque si andasse, magari in autostop, la chitarra era il nostro passepartout, come quella volta a Genova dove costringemmo Enrico Berlinguer ad ascoltarci cantare.

Io mi fermo qui, ma mi consentirai di leggerti una poesia che Salvatore, tuo fratello ti scrisse 12 anni fa, in ben altro contesto, e di dire un’ultima cosa ai tuoi familiari.

Cari Maria, Lucia e Massimiliano, 44 anni fa moriva mio padre, e Domenico mi tenne compagnia per tutto il giorno, fino ad accompagnarmi dietro la bara, tenendomi il braccio: credevo di avere perduto per sempre la mia guida ma poi ho compreso il contrario: ogni giorno, ogni ora, ogni scelta, mi chiedevo cosa avrebbe detto mio padre, ed ho capito che, paradossalmente, perdendolo, lo avevo ritrovato: ecco, Domenico, papà non vi lascerà più  e sarà tutto per voi!

Ciao Domenico, salutami tutti gli amici che ci aspettano

Tuo, Gerardo Vespucci