La caduta dei veti rimette in pista un Conte diverso

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La caduta dei veti reciproci, di Pd e Cinque Stelle contro Italia viva e di Renzi contro Giuseppe Conte ha impresso una accelerazione alla crisi di governo, la cui soluzione dipende ora dal successo del mandato esplorativo affidato ieri sera al presidente della Camera Roberto Fico, che dovrà verificare la praticabilità della “prospettiva di una maggioranza politica composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo”. Si apre dunque uno scenario simile a quello che vide all’inizio della legislatura il presidente della Camera tentare di mettere insieme piddini e grillini, gli sconfitti e i vincitori delle elezioni. Allora, Fico tornò al Quirinale certificando che il dialogo tra le due forze politiche era avviato; ma un mese dopo nasceva il governo Cinque Stelle-Lega: oggi gli auspici sembrano più favorevoli. L’urgenza imposta dalle tre crisi evocate da Mattarella – sanitaria, sociale, economica – richiede una soluzione rapida e la nascita di un governo stabile sorretto da una maggioranza più ampia di quella andata in crisi dieci giorni fa. L’ottimismo non è di maniera, i dubbi sono legati alle fibrillazioni interne ai Cinque Stelle, scossi dalla dissidenza di Alessandro Di Battista.

Comunque andrà a finire, già ora la dinamica della crisi ha prodotto sviluppi imprevisti che si sono innestati su processi consolidati torcendoli ad approdi inattesi. La novità più evidente è il ridimensionamento della figura del presidente Conte, che potrebbe ancora vincere la partita trovandosi alla fine a guidare il suo terzo governo con una maggioranza diversa dalle due precedenti, ma vedrebbe in ogni caso ridotta la sua leadership in una collocazione a mezza strada fra il Conte 1, quando era in pratica il portavoce dei suoi sue vicepresidenti, e il Conte 2 che lo ha visto progressivamente impadronirsi del ruolo di capo indiscusso di una coalizione postasi al suo servizio. Questa stagione si è conclusa. L’iniziativa di Matteo Renzi, per quanto criticata aspramente da Pd e Cinque Stelle, ha costretto il premier alle dimissioni per poi rientrare in partita solo grazie al sostegno dei maggiori alleati, privi di una carta di ricambio. In questo modo, Renzi ha già raggiunto l’obiettivo di limitare lo strapotere di palazzo Chigi facendo del capo del Governo il semplice depositario di una delega concessagli dalla coalizione e sempre revocabile o comunque condizionata. Nella prima fase della crisi, Giuseppe Conte ha mostrato tutta la sua inesperienza politica, prima prestandosi al gioco fallimentare del reclutamento di volonterosi “costruttori” o “responsabili” rivelatisi ben presto ingenui cercatori di una qualche sistemazione futura; poi umiliandosi con una telefonata last minute a Matteo Renzi, già incautamente minacciato di esclusione dai giochi. Gli sviluppi della crisi diranno in quale misura le scomposte mosse del presidente Conte abbiano compromesso il progetto di un partito politico o anche di una semplice lista elettorale intestata a suo nome: certo è, per quanto possano valere i paragoni in politica, che il suo carisma oggi è ben lontano dall’appeal di cui godeva Mario Monti a conclusione della sua esperienza governativa, otto anni fa.

L’altro imprevedibile sviluppo innescato dalla crisi è l’abbandono dell’ipotesi di fine anticipata della legislatura, una minaccia invano agitata dal Pd contro Renzi e soprattutto contro la squadra di Italia viva, bloccata abilmente da Berlusconi e in parte anche da Salvini i quali, al di là delle dichiarazioni di facciata, rimuovendo il ritorno alle urne, hanno bloccato significative defezioni nel loro campo di gioco lasciando Zingaretti con il cerino in mano. Col risultato paradossale che l’appello ripetuto dal Pd all’allargamento della maggioranza ha rimesso in partita il Cavaliere, che non aspettava altro.

In conclusione, se abbiamo assistito finora alla prova generale dell’elezione del successore di Sergio Mattarella, si può dire che fra un anno, nel febbraio del 2022 ne vedremo delle belle.

di Guido Bossa