Corriere dell'Irpinia

La comunicazione politica

Da quando i partiti hanno abbandonato l’ideologia, la comunicazione politica è divenuta solo propaganda. Prima la propaganda si differenziava dalla comunicazione perché gli intellettuali (scrittori, artisti, professori, giornalisti), anche se condizionati dalle correnti culturali di appartenenza, si mantenevano più dignitosamente autonomi dal potere politico con il quale, non tutti, avevano un legame più stretto come con il partito comunista. Ne dà uno spaccato il bel libro di Francesco Piccolo “La bella confusione” edito da Einaudi (2023) che narra le vicende della confezione dei film Il Gattopardo di Visconti e 8,1/5 di Fellini, il primo comunista e il secondo di cultura cattolica, e mette in risalto i loro rapporti con i partiti di riferimento. Allora i partiti non esageravano e l’asservimento di oggi non era neanche pensabile, La televisione non era occupata “manu militari” e i giornali, anche se di tendenza diversa, conservavano, chi più chi meno, la loro autonomia

Oggi la realtà è del tutto diversa e molto più squallida. I partiti  “comprano” gli uomini di cultura con appannaggi, prebende, carriere ed emolumenti vari e ne fanno strumenti di propaganda. Molti ci stanno per comodità, perché “tengo famiglia” e” Francia o Spagna purché se magna”. La metà delle televisioni sono in mano a Berlusconi che le ha usate largamente per la sua ascesa politica controllando, poi, quelle pubbliche, da Presidente del Consiglio, vedi l’editto bulgaro e la “cacciata” di Santoro, Biagi e Luttazzi). Oggi le usa per fare opposizione. La tv pubblica è controllata interamente dai partiti e quindi dalla maggioranza che detiene il potere. Le regole di fedeltà sono ferree e chi sgarra paga. Per questi motivi i talk show – salvo lodevoli e poche eccezioni- sono inguardabili perché non parlano mai il linguaggio della verità, (vedi, da ultimo, lo stravolgimento storico dell’eccidio delle fosse ardeatine!). Sono strumentali, pieni di bugie, di falsità, spesso di ignoranza e di malafede. Qualche presentatore tenta invano di ristabilire la verità, ma è subito sopraffatto e si limita a garantire il pluralismo (uno di una parte e l’altro dell’altra) e così la coscienza è salva. Molti politici, poi, li disertano, perché hanno il loto spazio garantito nei tg,

La stampa ricalca, seppur in maniera più tenue, le televisioni. La metà dei giornali sono posseduti da imprenditori che fanno politica e quindi sono faziosamente schierati, altri si dibattono in una crisi grave per la concorrenza della TV. Comunque costano e per farsi un’idea bisognerebbe leggerne diversi. Dei social inutile parlare: molta zavorra e analisi da bar.

Occorrerebbe che i giornalisti fossero più seri e coscienziosi, amanti della verità alla quale non dovrebbero anteporre nulla. Magari impegnati deontologicamente ad un giuramento come sosteneva Popper.

                        Nino Lanzetta        

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