La decadenza dell’Irpinia

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Di Nino Lanzetta

“L ’Irpinia la provincia di Dorso – terra a livello economico di terzo mondo – senza industrie senza ospedali, senza acquedotti, senza fognature – si trovava al più basso livello morale sociale”. Così la descrisse Sullo quando – dopo il fascismo-cominciò il suo iter politico. In poco tempo la terra dell’osso, come la chiamò Rossi Doria, sotto l’impulso e la guida di Sullo – l’uomo dei fatti che nascono dalle idee- cambiò volto. Diede avvio alla ricostruzione, cambiò radicalmente la classe politica e dirigente e così propiziò lo sviluppo economico, sociale e culturale. Lo stato di grazia durò per oltre un trentennio grazie anche ai molti giovani allevati da Sullo alla politica. L’Irpinia diventò un laboratorio politico rispettato a livello nazionale e con Sullo anche De Mita, Bianco, Mancino, Zecchino, Gargani si affermarono in campo nazionale. Poi venne il terremoto e il miracolo finì. Si può dire che da esso cominciò la decadenza. La legge n.219 del 1981 mise a disposizione ingenti mezzi che avrebbero dovuto assicurare la ricostruzione edilizia e lo sviluppo industriale. Quanto alla ricostruzione del patrimonio edilizio la legge ha ampiamente risposto in modo positivo, quanto, invece, allo sviluppo industriale è stato un fallimento totale. E’ stato completamente sbagliato il tipo di intervento pubblico. Invece di puntare sul settore dell’agro alimentare e dell’artigianato, più consono alla conformazione geografica dell’area e alle caratteristiche dei suoi abitanti, si è voluto puntare sull’industrializzazione (metallurgia, elettronica, plastica) del tutto inadatti alla zona. L’industria in montagna è stato un errore madornale che ci è costato lo sviluppo: che il contadino si sarebbe convertito in metalmeccanico e l’agricoltore in un industriale non era un’ipotesi reale. Nelle campagne le masserie sono diventate villette ma i contadini e i giovani se ne sono andati. I paesi si sono spopolati, e sono rimasti solo o vecchi, facendo venire meno ogni ipotesi di ripresa. La situazione è drammatica e non si vedono all’orizzonte possibili rimedi di attenuazione di un fenomeno ormai irreversibile. Si chi la colpa? Non certo di Fiorentino Sullo – l’unico che avrebbe potuto ribaltare la situazionefatto fuori con cinismo politico e umano da De Mita e dagli gli allievi che egli aveva coltivato. In quel tempo imperava in maniera assoluta De Mita, più filosofo della politica che uomo dei fatti, che faceva il bello e il cattivo tempo, senza rivali interni ed esterni e determinava rutta la politica in Irpinia. Il buon Salverino De vito, ministro addetto alla ricostruzione, doveva stare sempre quattro passi dietro al suo Capo e gli altri (i Bianco, i Mancini, i Gargani) contavano meno di zero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: La decadenza è irreversibile ed anche la città capoluogo, che ha perduto l’impulso culturale e propulsivo dell’entroterra, è divenuto un paesotto provinciale.