La delega della politica ai partiti

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La ulteriore frantumazione delle presenze partitiche nel panorama politico italiano ripropone l’esigenza di approfondire un postulato tuttora pregnante all’interno dell’attuale dibattito culturale e politico, circa l’interrogativo della totale delega della politica ai partiti. Immediato riscontro a questo postulato è la domanda: quando i partiti si sgretolano e non vengono più stimati dalla stragrande maggioranza della comunità nazionale, le persone portatrici di pensiero, di valori, di proposte credibili, cosa faranno? Le strade da intraprendere sono essenzialmente due, o il rifugio facile nell’antipolitica o la riscoperta di un protagonismo partecipativo connotato di contenuti, prospettive e metodi democratici capaci di restituire dignità alla politica. La seconda via è quella scelta da una significativa fetta del mondo cattolico che, metabolizzata sufficientemente la fase della presenza della dimensione religiosa nella sfera pubblica, ravvisa l’urgenza di mettere in cantiere la rilevanza pubblica della stessa dimensione religiosa. È un processo questo che certamente presenta segnali di forte accelerazione nella realtà italiana, ma sembra contrassegnare tutto il mondo occidentale. Il fenomeno si rivela ancora più significativo in quanto evidenzia l’erroneità di quel modo di pensare che vedeva nell’avanzare della scolarizzazione l’elemento destinato a segnare non solo la riduzione della religiosità a opinione meramente privata, ma anche la fine della religione in quanto tale. Nella esperienza italiana degli ultimi anni è doveroso cogliere un connotato particolare. Infatti il cattolicesimo italiano sembra aver scelto la piazza, l’antica agorà, per i grandi eventi religiosi come manifestazione di una fede coraggiosa, portatrice di una proposta umana e culturale che mette in cammino l’immenso popolo di Dio lungo percorsi di solidarietà avvertita e proclamata, senza sindrome minoritaria o di controtendenza in ordine ai temi decisivi della convivenza o della regolazione sociale. Questo nuovo e più responsabile protagonismo riguarda non solo i movimenti e le associazioni del mondo cattolico, ma la stessa Chiesa istituzionale, a partire dalla straordinaria figura di Papa Francesco. Una situazione del genere si risolve – conseguentemente – in una maggiore ricchezza della presenza e del ruolo del cattolicesimo sociale nella vita pubblica italiana, pur senza sottovalutare la problematicità delle implicanze connesse. Lo stesso mondo laico, afflitto da una cronica incapacità di fornire risposte ad una sempre più complessa domanda sociale ed a fronte di un nuovo e dialogante umanesimo cristiano, sembra aver abbandonato la via della contrapposizione ideologica per imboccare quella del riconoscimento e del riscontro all’apertura del dialogo imperniato sulla non contrapposizione tra fede e ragione. Può bastare questo nuovo scenario culturale e politico per affrontare le emergenze locali e globali? Certamente no, ma è la via senza alternativa, per un percorso attivo e responsabile. Lungo questo inevitabile percorso i cattolici italiani, già impegnati nel vastissimo mondo del laicato cristiano associato, dovranno necessariamente e senza tentazioni confessionali, dimostrare generosità, competenze e la necessaria responsabilità derivante dall’inquietudine del momento storico attualmente vissuto.
edito dal Quotidiano del Sud