Gli avvenimenti, sempre più drammatici, dello spazio globale in cui viviamo, ci costringono a fare quotidianamente i conti con la distanza, la diversità, la vastità dello spazio relazionale, con il risultato ultimo del rischio di disorientamento, se non addirittura, di sradicamento del nostro passato e il conseguente disimpegno per il presente e il futuro. Sembra che, nell’attuale stagione post-moderna, veniamo sopraffatti dalla convinzione che non ci sia più una rappresentazione possibile di un “bene” e di un comune sentire, perché ogni ipotesi di rap presentazione positiva congela il tentativo di cambiamento e impedisce ogni orizzonte di speranza .Da qui il tormento tra la paura di disegnare qualcosa di comune, nel nostro piccolo o grande perimetro relazionale, e l’esaltazione di una singolarità fatta di esperienze individuali, con l’aumento vertiginoso della sindrome della solitudine. E la solitudine, come non pochi autorevoli pensatori evidenziano, rischia di essere l’anticamera della intolleranza. D’altronde sono sempre più diffusi gli episodi afferenti ad esperienze di solitudine per scappare dal caos e dalle diffuse frenesie. Oggi le nostre comunità vivono la fisiologica oscillazione tra “l’io” e il “noi”: da una parte assistiamo alla frantumazione della comunità, dall’altro lato sembra radicalizzarsi la forma identitaria e securitaria all’interno delle stesse comunità’. Nel frangente storico in cui viviamo convivono e si alternano momenti di soggettività sovrana con un bisogno avvertito di comunità. Al cospetto di tutto ciò occorre tornare a considerare la comunità come spazio del “tocco comune”, cioè della mediazione come ruolo strategico da esercitare con pazienza. Pertanto è necessaria una riossigenazione dei legami comunitari dentro e tra le comunità. Servono, quindi, istituzioni che ascoltino e promuovono comunità, anche perché le stesse istituzioni hanno urgente bisogno di darsi un volto nuovo. Occorre partire necessariamente dal concetto che la comunità è lo spazio dove sperimentiamo che cosa ci tiene insieme davvero, la casa comune dell’inter-esse e non il campo da gioco di sfrenati di interessi individuali. I preoccupanti scenari geopolitici attuali-di fronte ai quali ci siamo assuefatti-sono ingannati dall’idea che la libertà non viva della potenza dei limiti entro cui essa dovrà essere esercitata, ma da dall’onnipotenza senza limiti, confusi tra una vita solitaria, senza gli altri, dimenticandoci che la comunità è un luogo di resistenza dell’umano, anche durante gli eventi più terribili come le guerre e le pandemie. Oggi, più che ma, è preoccupante prendere atto che l’esercizio del potere sembra irrimediabilmente separato da qualsiasi ambizioso disegno umano ed ideale. La responsabilità, di pensiero e di azione, dei potenti e di chiunque ravvisi urgente l’utilità di un messaggio alternativo al delirio di onnipotenza, deve, con coraggio e perseveranza, denunciare ogni residua sfiducia nella democrazia, evitando che la democrazia stessa venga cancellata da un cinismo onnipresente che rende persino impossibile pensare ad un concreto e credibile perseguimento della causa comune.
di Gerardo Salvatore