La democrazia da Renzi a Salvini

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Stiamo assistendo e non da oggi ad un cambiamento notevole nei tratti distintivi di una democrazia. Di Maio e Salvini oggi così come Berlusconi e Renzi nel recente passato si comportano non da vincitori delle elezioni ma da conquistatori. In altre parole la democrazia è diventata nel tempo un dominio della maggioranza e non il confronto dialettico tra maggioranza e opposizione. E’ su questa idea malata che ha poggiato la seconda Repubblica e se siamo entrati nella terza lo abbiamo fatto ampliando gli errori. Non si governa sostenendo che chi c’era prima era un raccomandato e un parassita come ha detto qualche giorno fa Luigi Di Maio. Ma l’idea di annettere alla maggioranza le presidenze delle Camere nasce nel ’94 con Berlusconi al governo. Renzi da premier ha accusato più volte i sindacati interessati non a creare lavoro ma a lanciare slogan demagogici. Sono questi ragionamenti a solleticare la pancia dell’elettorato per ottenere un consenso immediato. La maggioranza ha nella sua fase iniziale sostenitori, partigiani e tifosi, gente che sale subito sul carro del vincitore. La particolarità dell’attuale coppia di governo è quella di essere sostenuta più dai social che dalla stampa tradizionale ma la spinta propulsiva al cambiamento è accompagnata proprio da chi non fa parte della casta ma spera di subentrare rapidamente. Al momento Lega e Cinque Stelle hanno di fatto sfondato nell’opinione pubblica e i sondaggi li fanno volare ad oltre il 60 per cento dei consensi. Salvini e Di Maio possono anche avere la tentazione di allargarsi nella parte destra e sinistra schiacciando ulteriormente da un lato Forza Italia e dall’altro il PD occupando quasi tutto lo scacchiere. Gli errori commessi nel passato da chi ha governato sono evidenti. Berlusconi ha sempre considerato il suo un partito senza eredi e quindi destinato a restare ancorato al suo fondatore. Il partito democratico è diventato nel tempo non un progetto di sintesi tra storie e culture diverse ma una piccola fabbrica per gruppi di potere che via via si sono avvicendati alla segreteria. Ogni volta che il centrosinistra ha governato si sono succeduti a Palazzo Chigi vari Presidenti del Consiglio. Tra il ’96 e il 2001 Prodi, D’Alema e Amato. Nell’ultima legislatura Letta, Renzi e Gentiloni. Esempi di guerre intestine più che di reale volontà di cambiare il paese. Il ruolo dell’opposizione in questa fase è dunque molto complicato. Forza Italia e PD possono al massimo fare interdizione e cominciare ad immaginare un futuro. Resta così molto particolare il ruolo del Capo dello Stato. Tocca al Quirinale richiamare il governo al rispetto delle idee altrui a mettere in guardia l’esecutivo sui rischi di una navigazione che può incrociare la tempesta della globalizzazione e della crisi economica e dalle tensioni in Europa su dazi e immigrazione. Ma quello che il Presidente della Repubblica vede come il vero pericolo è il dovere di governare il linguaggio. Con l’uso distorto del web e della partigianeria. Quella che Mattarella vede dal Colle è un’Italia che rischia di rimanere immobile e assuefatta a quello che sembrerebbe il pensiero dominante, sdoganato – anche nei suoi toni più barbari – da un linguaggio politico che non conosce limiti pur di ottenere consenso. Lisciare il pelo all’opinione pubblica è insomma il rischio più grande. Governare sulla base dei sondaggi e non su quello che realmente serve al paese è il pericolo da scongiurare. Tra poco la ripresa autunnale metterà la maggioranza giallo-verde di fronte ai fatti a partire dalla legge di bilancio e il governo dovrà navigare tra reddito di cittadinanza, flat tax, riforma della legge Fornero e vincoli che l’Europa ci impone. Il tempo delle promesse sta per finire.

di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud