La doppia epidemia

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Se tu soffiassi nel mio cuore/ come un fantasma bianco al bordo della schiuma in mezzo al vento/come un fantasma scatenato in riva al mare/ qualcuno verrebbe forse/ dalle cime delle isole/ dal fondo rosso del mare/ qualcuno verrebbe/qualcuno verrebbe…

I dolci versi d’amore di Saffo ci hanno fatto sempre immaginare l’isola di Lesbo come un angolo di paradiso. Un paradiso che noi abbiamo trasformato in un inferno per un popolo di disperati sfuggiti dall’orrore della guerra siriana o dalla spietatezza dei talebani. Un inferno presidiato dalle bande naziste di Alba dorata che attaccano i profughi e bruciano il cibo, mentre la guardia costiera e la polizia greca sparano sui migranti che osano attraversare la frontiera turca, con i bambini che annegano nei tentativi di sbarco. Tutto questo mentre nel campo di Moria ove vengono tenute ammassate come in un lager oltre ventimila persone si potrebbe appore l’incipit di Dante Alighieri all’entrata dell’inferno: lasciate ogni speranza o voi che entrate.

In questi giorni, dopo che Erdogan ha aperto le porte dei suoi “centri di accoglienza” intorno all’isola di Lesbo ed alla frontiera nord-orientale della Grecia si sta consumando un dramma biblico con centinaia di migliaia di profughi che cercano riparo in Europa dall’odio e dalla violenza da cui sono fuggiti. Chiedono la salvezza, mentre la risposta che la Grecia dà, in nome e per conto dell’Europa intera, sono il filo spinato, le bastonate ed i colpi di fucile. La risposta dell’ottuso egoismo delle nazioni europee è: non c’è salvezza per nessuno!

Peccato che nessuno si sia accorto che questi atti disumani, rappresentano inaccettabili violazioni del principio del diritto internazionale del non respingimento dei richiedenti asilo e rifugiati e del diritto d’asilo previsto dalle Convenzioni internazionali, dalle Costituzioni e dalla Carta di Nizza.

Certamente, in questi giorni l’opinione pubblica è sbalordita, assiste con sgomento alla geometrica potenza del morbo che ci affligge. In meno di due settimane la progressione del COVID-19 è passata da pochi casi ad oltre tremila. I reparti di malattie infettive degli ospedali del Centro-Nord sono prossimi alla saturazione, un centinaio di migliaia di persone nelle zone rosse e fuori si trovano in una condizione di isolamento simile agli arresti domiciliari, mentre con l’ultimo decreto emesso nella giornata di ieri, sono state adottate delle misure inusitate che il nostro paese non ha mai conosciuto, neanche in tempo di guerra, come la chiusura di tutte le scuole, dall’asilo all’Università, e la sospensione di “manifestazioni ed eventi di qualsiasi natura, svolti in ogni luogo, sia pubblico che privato.” Per spiegare queste misure il Presidente Conte ha diramato mercoledì sera un videomessaggio alla nazione, chiedendo l’impegno di tutti gli italiani per superare l’emergenza.

E’ chiaro a tutti che nessuno si può salvare da solo, per debellare l’epidemia occorre un grande impegno collettivo ed occorre anche l’aiuto dell’Europa, che deve allargare le maglie della borsa, perché l’Italia da sola non ce la può fare.

Tuttavia l’epidemia causata dal coronavirus non è l’unico male che ci minaccia. C’è un’altra epidemia che soffoca l’Europa, come dimostrano le immagini che giungono dalla frontiera greca. Il virus della disumanità sta scavando profondamente nell’inconscio dei popoli europei e si sta trasformando in una vera e propria epidemia, penetrando in profondità nelle strutture politiche e culturali, rendendoci indifferenti alla sorte del popolo dei profughi-migranti come accadde negli anni 30 del secolo scorso nei confronti del popolo ebraico discriminato con le leggi razziali. E’ rimasto completamente inascoltato il grido del Papa a Bari, il 23 febbraio: “A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo, e mi fa sentire discorsi che seminavano paura e poi odio nel decennio ’30 del secolo scorso.”

Resta la domanda: una civiltà che precipita un popolo di profughi nell’area dei sommersi, ha le risorse morali per salvarsi dal virus del pipistrello?

di Domenico Gallo