Il disegno è chiaro: far fallire l’Alto Calore, recuperare il suo patrimonio e lasciare i debiti a ciò che resta dell’ente. Fa da paravento l’Ente Idrico Campano (Eic) guardiano delle risorse idriche per volontà del governatore della Campania Vincenzo De Luca. Lo stesso che qualche giorno fa è venuto in Irpinia a dare il benservito all’Ente di Corso Europa per squalificarne la funzione e dare il via all’assalto. Forse per un accordo di potere con il Sannio. Non v’è dubbio che l’Alto Calore ha rappresentato nella sua lunga esistenza la madre di tutti gli scandali, la grande fabbrica dell’immoralità, lo stravolgimento dell’intuizione che ebbe Fiorentino Sullo all’atto della nascita dell’ente. Lui, Sullo, aveva un sogno da realizzare: fare delle acque irpine il petrolio bianco per lo sviluppo della provincia. Dopo di lui è partito il “carrozzone” tra sprechi e tangenti. Si salva Michelangelo Ciarcia, attuale presidente dell’Acs.
Ma al governatore De Luca l’impegno di Ciarcia per tentare di recuperare il passivo non interessa. Ne è prova il mancato finanziamento delle risorse per sessanta milioni di euro che non sono mai arrivati all’Ente di Corso Europa. Se così fosse stato forse qualcosa sarebbe cambiato. Ma il disegno industriale non era nel disegno politico del governatore in cerca di alleanze per irrobustire il suo potere. Sconcerta, e non poco, come questo disegno va avanti nell’assoluto silenzio dei consiglieri regionali irpini che da tempo sono al servizio del governatore. Neanche un balbettio, un segno di indignazione, un minimo di proposta per evitare lo scippo. La grande vergogna parte da loro. Come dalla strana sintonia tra De Caro e Mastella, entrambi sanniti, che da una vita in disaccordo ora fanno fronte comune per tutelare il loro territorio. E che dire del duo De Caro-Petitto, il primo capo corrente non si sa di quale partito e il secondo, Petitto, a prestare il fianco ad operazioni trasformistiche? E che fa Petracca, cresciuto all’ombra di Ciriaco De Mita, usurpandone il potere per nutrire le sue ambizioni nel grande vuoto della classe dirigente? O Ciampi, galantuomo, che da solo parla, irpino in consiglio regionale, ma che denuncia senza indignarsi o attivarsi contro lo scippo delle acque? E ancora. Indigna il silenzio di Alaia che, vincitore del premio di presenzialismo, anche stavolta preferisce non disturbare il manovratore? E che dire del silenzio dei sindaci che hanno relazione con l’Alto Calore e il cui mutismo si lega probabilmente al meschino interesse di farla franca con il pagamento del debito accumulato nei confronti dell’ente di cui sono componenti istituzionali? Ecco la Grande Vergogna. Che investe anche la delegazione parlamentare dei cinquestelle, Sibilia, Maraia, Gubitosa, Pallini, o del sen. Grassi in viaggio nel Parlamento?
Sì, proprio quelli del cinque a zero delle scorse elezioni che giunti a Roma hanno dimenticato l’Irpinia. Da tutti il Grande Silenzio, chi per servilismo, chi per incapacità a rappresentare il territorio e chi per aver paura del coraggio della denuncia. La storia dello scippo delle acque, a cui chi scrive ha dedicato anni di impegno e di denuncia, non si limita all’ultimo tentativo deluchiano. Viene da lontano. Dal primo scippo delle acque del Sele da parte dell’acquedotto pugliese. Allora fu con la complicità del regime fascista. Basterebbe documentarsi sulle battaglie fatte da Guido Dorso, Sullo e Indelli per rendersi conto come le mani si sono allungate sulla più grande risorsa irpina. Poi arriva Berlusconi. Da premier privatizza l’acquedotto pugliese. Ordina al ministro del Tesoro detentore delle quote dell’acquedotto di regalare alla Puglia, all’allora fido governatore Fitto, una consistente parte delle quote pubbliche. Al tavolo della spartizione per un accordo di programma la Campania è assente. Bassolino, governatore, non invia neanche un suo rappresentante, la Basilicata presente, riesce ad ottenere una quota. La Campania resta a secco. Oggi la guerra si sposta nella regione, contro l’Irpinia che ha le risorse più importanti dell’Europa.
Ecco La Grande Vergogna.
Gianni Festa