La guerra in Ucraina e informazione

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Dopo sessanta giorni di guerra abbiamo potuto assistere, sbigottiti e sgomenti, ai bombardamenti inauditi che hanno fatto cumuli di macerie di palazzi, scuole, ospedali, radendo al suolo intere città e uccidendo barbaramente donne e bambini in un genocidio senza eguali nella storia dell’umanità. La cronaca è avvenuta sotto i nostri occhi con filmati dal vivo, collegamenti a tutte le ore, interviste che coraggiosi giornalisti, alcuni dei quali hanno trovato la morte, ci hanno proposto. Merito della stampa che in questa sporca faccenda ha avuto un ruolo determinante. Senza la stampa non avremmo potuto immaginare quello che abbiamo visto ora per ora con i morti sulle strade, le fossa comuni, le fughe dalle città, la fame e i bambini imploranti. Onore quindi alla stampa che ha assolto ad un compito determinante, nella maggior parte dei casi, con efficienza ed obbiettività.

Ma non tutto è andato nel verso giusto. Innanzitutto si è esagerato riservando alla guerra l’intera giornata nei programmi televisivi e nei talk show. Mentana sulla Sette vi ha dedicato più di sessanta special durati tutto il pomeriggio, più Otto e mezzo della Gruber e In onda, di De Gregorio/ Parenzo, più Atlantide più Di Martedì più Piazza Pulita. In tutto più di venti ore al giorno. Non da meno sono state le altre Reti. Un fiume di notizie su notizie, di opinioni, con centinaia di ospiti in studio. Le parole si sono sprecate e la ridda delle interpretazioni ha finito per prevalere e condizionare le notizie con il rischio che il teleutente ne è rimasto frastornato. Così i giornali il cui argomento unico è stata la guerra facendo passare in second’ ordine la pandemia e facendo scomparire dal video i centinaia di virologi che prima erano onnipresenti.

Si è finito, in molti casi, col non chiamare più le cose con il proprio nome e, talvolta di travisare addirittura i fatti. L’invasione dell’Ucraina da parte di un sanguinario dittatore, che si è macchiato di crimini di guerra e contro l’Umanità, è diventata la guerra di Biden e degli Usa contro Putin e gli armamenti forniti agli ucraini dietro loro richiesta, un modo di allungare la guerra e di non tendere alla pace. Come sempre succede quando si parla per ore e giorni dello stesso argomento si finisce per arrivare ai “cabasisi” di Abramo (tanto per usare un termine camilleriano) e alla polemica spicciola, come tra il professore Orsini con le sue ardite proposte e altri pacifisti, in nome di una politica internazionale avente altri valori e obbiettivi Non sempre tutti i giornalisti hanno svolto il proprio mestiere con imparzialità e senso dell’etica, alcuni hanno finito per assecondare i fini politici dei propri editori, qualcuno del proprio padrone.

La stampa deve essere sempre indipendente; deve raccontare i fatti senza giudicarli nello stesso tempo. Dovrà smascherare le falsità, incrociare le fonti, formare i cittadini a cercare la verità. Secondo il filosofo e sociologo tedesco Habermas la formazione dell’opinione pubblica a mezzo stampa era nata come la necessità della classe borghese a diffondere le notizie per favorire il commercio. Le notizie stesse diventarono merce. La funzione della politica è quella di assicurare l’indipendenza della stampa non spartirsela come avviene oggi con la Commissione di vigilanza dopo che Berlusconi l’aveva asservita al suo potere, con le sue televisioni e i suoi giornali quando scese in politica e ne aveva esteso spregiudicatamente il controllo da Presidente del Consiglio fino all’ editto bulgaro. Secondo Orson Welles (Quarto potere) non ci dovrebbe essere nessun rapporto tra politica, forze dell’ordine né l’informazione dovrebbe avere il potere di manipolare le notizie al fine di influenzare l’elettorato. Questa in corso è anche una guerra di propaganda e la stampa in Russia è asservita, anche legislativamente, al potere politico, ma anche in Italia mostra le sue pecche sbattendo il mostro in prima pagina. Ha ragione Popper: il giornalista dovrebbe avere un alto senso della moralità e fare il giuramento di Ippocrate come i medici!

di Nino Lanzetta