La mutazione politica 

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E’ davvero difficile comprendere, alla vigilia di un turno elettorale, che cosa sia accaduto in questi anni nella politica irpina. Parto da lontano. Da quando questa provincia era di assoluto dominio della Democrazia Cristiana. Non c’era foglia che si muovesse se non fosse il partito di De Gasperi a volerlo. Questa condizione s’impose con l’avvento in politica di Fiorentino Sullo, grande ministro della Repubblica, uomo colto e conoscitore delle dinamiche politiche internazionali, ma soprattutto geloso custode della sua terra. Il suo potere era sterminato e la sua laicità capace di sottrarre il consenso anche a chi spesso non era democristiano. Noti i suoi rapporti con Dossetti, ma anche la sua contrapposizione con Fanfani. Per dirla in breve, Sullo e l’Irpinia democristiana finivano per identificarsi. E’ intorno a Sullo che nasce il cosiddetto gruppo dei “magnifici sette”, una classe dirigente che rispetto alla solitudine dello statista elabora una diversa strategia per conservare il potere. E sarà proprio questo gruppo solidale a scalzare il vecchio maestro. Tuttavia la Dc non subisce contraccolpi evidenti anche perché la nuova compagine dirigente si specializza nella gestione del potere. Si direbbe, a ciascuno il suo. Così mentre Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco s’impegnano a tessere rapporti e finalizzare intese sul piano nazionale, Nicola Mancino approfondisce il tema del regionalismo (non è solo per caso che sarà successivamente il primo presidente della giunta regionale), Antonio Aurigemma s’interessa dei problemi del capoluogo (sarà successivamente amato sindaco di Avellino), Antonio Telaro approfondisce la questione delle acque (diventerà presidente dell’Ente Irrigazione) e così varie “specializzazioni” anche per altri. Il disegno era quello di far diventare la politica progetto e su questo misurarsi con le altre forze politiche, in particolare con comunisti e socialisti, giacché la destra non era mai riuscita ad emergere come forza di governo.

La fine della Dc nazionale ha una sua ricaduta sul piano locale. Il partito-cemento si sfalda lentamente, ma inesorabilmente. La stessa solidarietà che manteneva unito quel gruppo, comincia a cedere di fronte all’egoismo individuale e al desiderio della conquista del potere personale. Questo processo si consuma quasi sempre alla vigilia di un turno elettorale, sia per le elezioni politiche che per quelle al Parlamento europeo, ma anche per il rinnovo di molte amministrazioni locali, soprattutto del capoluogo. E ogni volta c’è una vittima illustre costretta a indietreggiare rispetto alla volontà egemonica di qualcuno. C’è chi si ribella, ma viene messo all’indice e il gioco va avanti fino a quando la ribellione si appresta a diventare alternativa a quella forma di arroganza e prepotenza che ha generato non pochi guasti. C’è un momento, però, in cui l’idea della ricomposizione sembra vicina. Coincide con la nascita del Pd. Ma è solo un’illusione poiché questo nuovo partito è utile solo se corrisponde ai desideri di qualcuno. Questa tensione a ricompattarsi diventa, poi, inesistente. Anche qui giocano le candidature e qualche bocciatura. Ho ritenuto utile questa lunga premessa (che andrebbe certamente approfondita) nel tentativo di far comprendere come la politica spesso sia stata utilizzata per scopi personali, ben lontani dal fine del bene comune. In realtà oggi è ancora una volta la vecchia Dc a riscrivere la storia della nostra provincia, ma alla luce di una mutazione che è avvenuta negli ultimi anni. In modo ancora più esplicito, almeno io credo, sono gli ex democristiani a insidiare quei loro colleghi rimasti in trincea a difendere una cultura che gli era stata negata. Mi chiedo allora: che ci fanno Peppino Gargani, Ortensio Zecchino e tanti sindaci nell’Udc (anche se cambia nome e simbolo) alleati con Berlusconi, il vero nemico della Dc? E ancora: che ci fa Pasquale Giuditta con Tabacci e Bonino in un partito che guarda al centrosinistra? E per ultimo, ma non ultimo, che ci fanno ex democristiani di peso come Pietro Foglia, Franco Di Cecilia, lo stesso Giuseppe De Mita, ex sindaco di Nusco, guarda caso anche lui ribelle, nella corte di Silvio Berlusconi? Il cemento di una volta si è completamente liquefatto, sotto i colpi di una logica di potere che ha sterminato una classe dirigente che stava per nascere, per conservare e gestire fenomeni che qualcuno potrebbe definire nepotistici.

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 Parte dall’implosione della Dc, come ho tentato di dimostrare, la crisi che oggi investe il Partito democratico in Irpinia. La guerra per le candidature è solo il punto di arrivo di un partito senza politica. Lo dimostra il fatto che per rendere credibile il gruppo dirigente del Pd è stato inviato un commissario che, attraverso il suo altalenante comportamento, sta cadendo nel ridicolo. David Renzi (volevo dire Ermini) giunge in Irpinia nel mese di agosto in pieno mercato delle tessere di iscrizione al partito. Ci sono pacchetti di tessere acquistati in odore di malapolitica da personaggi che attraverso il congresso aspirano a mettere le mani sul Pd. La discussione nel partito si fa rovente, tanto che lo stesso Ermini ritiene, in una situazione non certo chiara, di non far svolgere il congresso che, invece, alcuni ritengono necessario portare a compimento per esprimere un nuovo gruppo dirigente. Ermini per mesi sfoglia la margherita. Mentre dondola sull’altalena appare di tanto in tanto in città per informarsi sullo stato dell’arte. Il suo pensiero è che il congresso non s’ha da fare. Fino a dicembre è così. D’improvviso si sveglia e in piena campagna elettorale, mentre il partito è impegnato nella scelta dei candidati, cambia opinione e decreta che il congresso va fatto entro la prima quindicina di gennaio. Convoca addirittura gli organismi preposti alla preparazione delle assise provinciali, contro il parere della segretaria regionale che ritiene non opportuno un appuntamento congressuale in piena campagna elettorale. Si attiva la rivolta dei circoli contro il diktat del commissario e la sua fretta di fare ciò che non è stato in grado di fare per ben sette mesi. Confesso di non conoscere a fondo la storia dei congressi di un partito, ma nella mia memoria non c’è il ricordo di un congresso realizzato nel corso di una sola settimana. Forse perché io credo che questo appuntamento rappresenti un momento di altissima qualità per la selezione della classe dirigente e per il confronto tra le diverse componenti su piattaforme programmatiche. Mi chiedo allora: a chi e a cosa serve questo congresso voluto dal commissario Ermini? A fare la conta in un partito lacerato senza aver definito con chiarezza il problema delle tessere? E di quali argomenti si discuterà se mai dovesse passare – ma non credo – la linea del congresso subito? Allo stato non ci è dato sapere. A meno che questa fretta non sia dettata da trucchetti che servono a sponsorizzare qualche candidatura decisa lontano dal territorio e forse dal Pd. Guarderemo gli eventi con l’equidistanza che è propria della nostra professione, ma mettendo al centro dell’interesse soprattutto quella questione morale che è garanzia per lo svolgimento di una onesta e possibilmente tranquilla vita sociale, nell’interesse di quei tanti giovani sui quali fra poco ricadrà il dovere di una scelta rigorosa fatta in piena dignità.

di Gianni Festa edito dal Quotidiano del Sud