Sono rimasto incredulo e sdegnato di fronte alle parole di Attilio Fontana, campione di familismo non da libro “Cuore”, oltre che Presidente della Regione Lombardia e ovviamente leghista, e specialmente del sindaco di Milano Giuseppe Sala contro la destinazione del 40% dei fondi del Pnrr al Sud e del 60% al Nord. C’è, poi, da restare trasecolati se solo si pensa che Sala fa parte del Partito Democratico, erede diretto del PCI di Berlinguer, dei seguaci di Moro e dei socialisti di Pertini. Tanto più che di fronte alla replica sulla giustezza della ripartizione da parte della ministra Mara Carfagna, un’esponente di Forza Italia che, al confronto con i due nani del senso nazionale, pare Rosa Luxemburg, Sala non si è vergognato di dire: “E’ certo che alla fine al Sud andranno più del 40% delle risorse. Ognuno può pensare come vuole, ma il mio non è egoistico campanilismo”. Se non è – chiediamo – egoistico e anche becero campanilismo, che cos’è, di grazia? Ce lo dica il sindaco della città di tangentopoli, già “capitale morale d’Italia”. Ho vanamente atteso giorni e giorni una ferma e netta presa di posizione del PD contro i due sodali lumbard. Mi farebbe piacere se mi fosse sfuggita, ma non credo. Ecco perchè dalle colonne di questo coraggioso giornale meridionalistico, in cui vive tanta parte dell’eredità dorsiana, sento il dovere di rivendicare la storica nobiltà del popolo meridionale. Parafraso il titolo di un trattato del 1520, “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca”, di Martin Lutero, che ad essa si rivolgeva per riformare la Chiesa afflitta dalla corruzione e dalla lussuria indotte dal dominio della Curia romana e del Papato. Certo, sfortunata e amara è stata, ed è, la vita e la storia del popolo meridionale, in tanta parte costretto ad emigrare. In breve, la malasorte delle nostre classi popolari è stata provocata, dall’Unità in poi, da quello che Gramsci chiama “il blocco storico degli industriali del Nord e degli agrari del Sud”, man mano evolutosi con la trasformazione delle classi dominanti. In precedenza, nel Medioevo, nella prima metà del Duecento, “l’occasione storica” del Sud, per dirla con Dorso, fu di diventare un grande, moderno regno, disegno perseguito dall’imperatore Federico II, che si vide però la strada sbarrata dal papato, indomabile nemico – come Machiavelli dice e la storia mostra – dell’Unità d’Italia. Inoltre, dopo l’Illuminismo, in quanto “uscita dell’uomo dallo stato di minorità a lui stesso dovuto” (Kant), che, in Italia ebbe come capitale Napoli, furono i patrioti della Rivoluzione Napoletana del 1799, scampati alle ferocia delle bande sanfediste del cardinale Ruffo, che diffusero in Italia le idealità e lo spirito del Risorgimento. E fu il popolo del Sud, combattendo in massa, a far vincere l’impresa dei Mille di Garibaldi. Dimostrando a tutta l’Europa – come scrisse Cavour al conte Nigra – che gli italiani sapevano “combattere e morire per la patria”. Come sia stata ripagata la speranza di riscatto riposta dal popolo meridionale nello Stato unitario è storia nota quanto negativa. Oggi, però, con i fondi europei, si offre ai meridionali una nuova occasione storica per la rinascita del Sud. Mi rivolgo alle donne, ai giovani, agli intellettuali, agli amministratori onesti e capaci, a tutte le persone perbene, perché – come ogni giorno raccomanda Bassolino – si elaborino e si realizzino progetti di sviluppo per un’economia progredita ed eco-compatibile e per una vita e una civiltà a misura d’uomo.
di Luigi Anzalone