La partita del Quirinale

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In questo scorcio di anno tornano al pettine tutti i nodi di una politica che vorrebbe riprendere in mano la partita ma si accorge di non aver ancora superato la crisi che ha portato alla nascita del governo di emergenza e alla leadership di Mario Draghi.  L’appuntamento, fra un mese e mezzo, dell’elezione presidenziale sarebbe l’occasione propizia per dare un segnale di riscossa, ma nessuno in Parlamento, a cominciare dai gruppi più consistenti, sembra capace di prendere un’iniziativa convincente. Il centrodestra, che rivendica di essere maggioranza, esporta in Europa le proprie divisioni mentre in Italia appare succube dell’incantesimo di Berlusconi, modesto nei numeri ma ricco di ambizioni nonostante l’età e il retaggio di un passato i cui strascichi giudiziari ancora lo zavorrano. Anche la sguaiata raccolta di firme organizzata da Marco Travaglio tutto sommato certifica l’indispensabilità del Cavaliere nel suo campo di gioco, e lo stesso direttore del “Fatto” ha bisogno di indicare un nemico della Repubblica per non essere travolto dalla crisi dei Cinque Stelle; i quali, ancora a metà del guado fra ribellismo ed establishment, movimento e partito, si sono dati a malincuore una leadership, quella di Giuseppe Conte, che fu efficace nella lunga stagione governativa ma oggi appare velleitaria e indecisa a tutto.

Il Pd nella versione lettiana ha difficoltà a delineare il perimetro dell’auspicato campo largo: è inchiodato ad una realtà poco gratificante, ma diviso tra tentazioni egemoniche e velleità discriminatorie. E’ stato Romano Prodi, recentemente a ricordare al segretario che il partito è ancora troppo piccolo per dare le carte nella partita del Colle. Se numeri insufficienti alimentano grandi ambizioni, il rischio della delusione è dietro l’angolo.

In questa situazione, Draghi resta al centro del campo. Emergenza sanitaria, emergenza sociale (occupazione, scuola, sindacati, grandi asset, infrastrutture, Tim), fondi del Pnrr, lo rendono sempre più indispensabile. Tutto passa dal suo ufficio, divenuto il crocevia del nostro futuro nazionale.  La vera partita si sta giocando negli incontri che Draghi, affiancato dal ministro dell’Economia Franco, sta avendo con i gruppi parlamentari e le parti sociali su fisco, costo del lavoro, bonus edilizi, reddito di cittadinanza. Sa di correre il rischio di un freno all’iniziativa riformatrice o quanto meno di un rallentamento della messa in opera del Piano di ripresa e resilienza con tutto ciò che ne deriverebbe nel dialogo con i nostri controllori a Bruxelles. E così ha respinto ogni mediazione fra esigenze inconciliabili che porterebbe alla paralisi del non governo. La sua scelta è quella del coraggio delle riforme, “un’azione paziente e decisa che eviti gli sterili drammi degli scontri ideologici, per dare all’Italia una prospettiva di sviluppo, coesione, convergenza”, ha detto commemorando Ugo La Malfa alla Camera.

Il Draghi decisionista lotta anche contro il tempo: la manovra è in ritardo, l’esame parlamentare è appena iniziato, altre urgenze premono, le corporazioni, dai taxisti ai balneari, protestano contro le liberalizzazioni, i dati della pandemia sono sempre meno rassicuranti con la curva dei contagi che ricomincia a salire. Si richiede una sterzata per rimettere in carreggiata il convoglio del governo. Mario Draghi mostra di aver chiara la situazione e la linea di condotta da seguire. L’iniziativa della seconda fase del suo governo si sviluppa in più direzioni. La pandemia, in primo luogo: un decreto ha fissato norme più stringenti per limitare la socialità dei non vaccinati, mettere al sicuro le festività di fine anno ed evitare un deleterio blocco dell’economia nelle settimane di prevedibile espansione dei consumi. Poi il fisco, con l’obiettivo di alleggerisce l’Irpef dei ceti medi senza appesantire il carico dei più fragili. I sindacati sono divisi, ma il percorso del governo è tracciato; eppure è doveroso riconoscere che il cammino ski presenta accidentato. In pratica, solo alla fine dell’anno di potrà fare il punto sulla seconda fase; e in quel momento si aprirà, anche per Mario Draghi, la partita del Quirinale.

di Guido Bossa