La partita politica più importante

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Chiusa la parentesi delle amministrative la partita politica più importante si giocherà tra qualche mese con l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Il test delle comunali ha fatto ritrovare il sorriso ad Enrico Letta mentre lo hanno perso Giorgia Meloni e Matteo Salvini, soprattutto quest’ultimo che solo poco tempo fa era considerato un leader incontrastato oggi ha improvvisamente scoperto di vivere un senso di precarietà. Salvini al momento non pensa né a crisi di governo né a smarcamenti dalla maggioranza. La sua, dunque, diventa una linea che punta a piantare una bandierina ma senza uno sbocco concreto, un tentativo utile solo a scaricare l’instabilità interna del suo partito su Palazzo Chigi. Le critiche salviniane nascono dalla necessità di recuperare i consensi persi alle amministrative e a non lasciare troppo spazio alla Meloni che sfrutta il vantaggio di essere l’unica forza di opposizione. Un sostegno all’esecutivo intermittente che rischia però di amplificare lo scontro interno con l’ala governista guidata dai presidenti di regione e da Giorgetti. Tensioni evidenti anche nel Movimento Cinque Stelle dove a Conte, oltre al magro risultato elettorale, si imputa anche una mancata strategia per il futuro del movimento e dove aumentano le ambizioni nazionali di Virginia Raggi nonostante la sconfitta subita a Roma. Si ha insomma l’impressione che la pandemia ha cambiato l’agenda e le aspettative dell’opinione pubblica che oggi vuole dalla politica serietà e moderazione unite a programmi con al centro sviluppo, imprenditorialità, merito, competenza, internazionalizzazione. Demagogia e populismo non riescono ad attecchire come nel recente passato e dunque anche le “minacce” sono più lo specchio di un estremismo senza bussola che un vero problema per il governo Draghi. I leader del centrodestra sono chiusi in una sorta di trappola mediatica e politica da cui è difficile uscire. L’unica ricetta come grida la Meloni è “al voto, al voto” nella convinzione che le politiche sono un altro film perché ancora oggi nei sondaggi la somma di Lega e Fratelli d’Italia tocca il 40 per cento e con l’aggiunta della percentuale di Forza Italia consentirebbe al centrodestra la vittoria. Tutto apparentemente facile anche se poi si dovrebbe spiegare agli elettori che in realtà si suonano spartiti diversi a partire da chi rivendicherebbe di aver salvato il paese con Draghi e chi invece lo accuserebbe di averlo rovinato. E proprio intorno a Draghi si sta delineando l’ipotesi che comincia ad accarezzare una parte del centrosinistra che sogna di trasformare il premier nel federatore di una maggioranza neo ulivista con i centristi di vario colore e con i Cinque Stelle. Attenzione avverte però Calenda quando si fanno le coalizioni contro, una volta contro Berlusconi, oggi contro i sovranisti, magari si vince ma poi non si governa. Tutte ipotesi che al momento alimentano solo le fibrillazioni all’interno della maggioranza ma con unica certezza: almeno fino all’elezione del prossimo inquilino del Quirinale non succederà niente e con un pericolo che corre anche il PD perché nonostante Letta dichiari che ai democratici “converrebbe andare a votare ma nell’interesse nazionale è meglio arrivare fino al 2023” tutto è più complicato perché come ricorda Massimo Franco “l’adagio più diffuso è che le elezioni politiche non ricalcano quasi mai quelle locali. Difficile negarlo. Eppure, in una stagione di grandi cambiamenti, il centrodestra sembra scoprirsi meno attrezzato della sinistra a capire quanto sta succedendo. Non basta definirsi o perfino essere maggioranza politica in Italia, se poi non si è in grado di esprimerla e di mostrare senso di responsabilità e capacità di governo. Il pericolo trasversale che si staglia sullo sfondo è di trasformare l’astensionismo in rabbia; e di illudersi di cavalcarlo a proprio vantaggio”.

di Andrea Covotta